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Quirinale 2022, basta con il toto-Colle: perché i prossimi mesi sono decisivi

Angelo De Mattia
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Sarebbe opportuno che una salutare resipiscenza ponesse fine ai dibattiti, che per ora si estrinsecano con dichiarazioni contrapposte dei diversi versanti dello scacchiere politico, sul futuro del Quirinale dopo la conclusione del mandato del Presidente, Sergio Mattarella. Si profilano, per il Governo, impegni rilevanti : dalla legge di bilancio all'avvio dell'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza con le riforme di struttura collegate,  a quota 100, al reddito di cittadinanza e agli ammortizzatori sociali, nonché alla riforma, in sede europea, del Patto di stabilità. Quattro mesi circa di discussioni, ipotesi, elucubrazioni sul futuro del Colle costituiscono una prospettiva che non andrebbe affatto coltivata, stanti le esigenze del Paese.

A maggior ragione se le proposte vengono formulate non per la carica in sé -  con grande competenza , onore, prestigio ed efficacia detenuta da Mattarella in un settennato eccezionale -  ma per le conseguenze dell'assegnazione della stessa carica, come nel caso di un nuovo mandato per l'attuale Presidente, che avrebbe lo scopo di rendere possibile l'ascesa di Mario Draghi  al Colle, alla fine della legislatura nel 2023; oppure come nell'ipotesi di un'elezione di Draghi a conclusione dell'incarico dei sette anni di Mattarella per potere così andare subito, in anticipo,  a nuove elezioni per il Parlamento. Conti che vengono fatti come se si trattasse di pedine che possono essere mosse da pochi soggetti, misconoscendo il ruolo del consenso negli organi costituzionali e finendo quasi con l'offendere sia il Capo dello Stato , che a seconda delle proposte o dovrebbe tenere calda la poltrona per due anni consentendo l'investitura di Draghi oppure dovrebbe disattendere le diverse richieste di restare nella carica per far posto subito all'attuale Premier, sia quest'ultimo, destinatario di tali proposte che possono collidere con le autonome scelte di Mattarella.

Neppure nelle contrastate successioni dinastiche si è agito in questo modo. Come accennato, in queste discussioni, entrambi vengono considerati con i prospettati spostamenti come non si agirebbe neppure con funzionari di un'impresa pubblica o con addetti a un'impresa privata. Tutto ciò sapendo, poi, bene che per l'elezione al Quirinale molto spesso si é entrati nell'immaginario Conclave papa e si è poi  usciti cardinale.

Gli impegni che incombono non dovrebbero consentire la concentrazione su questo argomento che, poi, finisce con il distorcere pure i giudizi sulla condotta del Governo e dei suoi componenti, addirittura sui riferimenti storici. Si pensi ai ricordi, ritornati di attualità in questi giorni, della decisione della Bce che, nel  2008, alzò i tassi di interesse nel pieno della crisi finanziaria globale aggravandone l'impatto quando, semmai, sarebbe stato necessario il contrario.

La decisione viene ora attribuita nelle cronache esclusivamente al presidente Jean-Claude Trichet; ma questi, una personalità di grande competenza e rigore, non agì certo da solo, ma lo fece con il concorso del Consiglio direttivo del quale fanno parte i Governatori delle Banche centrali dell'Eurosistema, dunque, naturalmente anche della Banca d'Italia, all'epoca Mario Draghi.  Pur di non rilevare questo dato,  e non ammettere un errore che ovviamente non muterebbe il giudizio su Draghi, i " paluditores" fanno una storia a metà. Ecco dove si arriva tra giudizi sul passato e sul presente e prospettive che si intendono sostenere con al centro l'uomo della provvidenza: cosa che il primo a rifiutare seccamente, anche per il danno che in questo modo gli si arreca, è proprio sicuramente Draghi.

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