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Inizia il Semestre bianco e scatta l'assedio a SuperMario Draghi: gli attacchi di Salvini, Conte e Letta

Carlo Solimene
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Salvini, Conte, Papeete, agosto. Quattro parole che - a leggerle d’un fiato - riportano la memoria all’estate 2019, crisi del primo esecutivo di Giuseppi, voglia di elezioni, ribaltone, Conte Bis. Eppure, due anni dopo, le stesse parole assumono un nuovo senso, sono unite da un altro filo rosso. Che si stringe minaccioso intorno al governo di Mario Draghi. È dal Papeete, ai primi d’agosto 2021, che il leader della Lega avvisa minaccioso: «Non possiamo sostenere un governo incapace di fermare gli sbarchi». E, dalle colonne della Stampa, un Conte non più nel ruolo della vittima ma in quello del complice, invia al premier messaggi similmente sinistri: «Sulla giustizia ci hanno trovati impreparati, ma non sarà più così. A partire dal Reddito di cittadinanza...». È il semestre bianco, bellezza. Il periodo in cui - ormai lo sanno anche le pietre - Mattarella non può più scogliere le Camere e quindi chiunque - leader, leaderini, peones - si sente legittimato a spararla forte. «Tanto alla fine alle elezioni non ci si va comunque...». Ufficialmente l’ultima fase della presidenza Mattarella comincia oggi. In realtà il «liberi tutti» è partito da qualche settimana. Da quando Conte ha risolto la diatriba con Grillo e si è intestato la guida dei 5 stelle (manca solo l’ufficialità, arriverà a brevissimo). Da quando Fratelli d’Italia ha affiancato la Lega nei sondaggi e Salvini ha sentito il richiamo della foresta. E, per aggiungere un altro fattore destabilizzante, da quando Enrico Letta ha deciso di giocarsi la segreteria del Pd nelle suppletive di Siena e contestualmente è scoppiata la grana Montepaschi, che rende ancora più incerta una partita già non scontata.

 

 

Così d’improvviso la navigazione di Supermario Draghi si è fatta perigliosa. Si era abituati a vederlo sprezzante lasciar litigare i partiti e poi annunciare d’improvviso le sue decisioni, come se quel rumore di fondo non riuscisse a distrarlo dal proposito di governare (e salvare) l’Italia. Ora invece lo si immagina a trattare con Conte sulla Giustizia, ad ascoltare le rimostranze di Salvini sulla Lamorgese e sul green pass, a dover prolungare per otto ore un Consiglio dei ministri neanche fosse un Giuseppi qualunque alle prese con i ministri renziani. Che cosa deve aspettarsi Draghi nelle prossime settimane, nei prossimi mesi? Cosa accadrà quando dovrà discutere di riforma della concorrenza mettendo sul piatto la direttiva Bolkestein con i partiti che hanno sempre difeso i balneari? E di meritocrazia nella Pubblica amministrazione con il Partito democratico? E di riforma fiscale? E di aggiornamento degli estimi catastali? E di giustizia amministrativa? Davvero partiti alle prese con la delicatissima campagna elettorale per le amministrative riusciranno a tirare la corda senza farla spezzare? Ad accettare compromessi indigeribili «perché in ballo ci sono i soldi dell’Europa e il governo non può cadere»? Non inganni il voto di fiducia accordato ieri all’esecutivo.

 

 

Il clima intorno al governo Draghi è tutt’altro che sereno. Anche all’epoca del Papeete 2019 il primo governo Conte era stato appena «fiduciato» sulla Tav quando Salvini decise di aprire la crisi. Oggi non si è certo a quel punto, ma a credere che la situazione stia cominciando ad avvitarsi è per primo il Quirinale. Che non sarà più nel pieno dei suoi poteri, ma qualche munizione ce l’ha ancora. Certo, evocare il «governo dei generali», come fatto da qualche giornale, è probabilmente un po’ frettoloso. Ma Mattarella, di fronte a una crisi di difficile soluzione, potrebbe persino dimettersi in anticipo sulla fine del suo mandato, lasciare che i partiti eleggano il successore e che poi sia quest’ultimo a rimandare tutti alle urne. Una sorta di «arma fine di mondo» che il Quirinale ha lasciato trapelare per lanciare un avviso a chi pensa di poter giocare col fuoco senza rischiare nulla. Invece, alla fine, ci si può sempre scottare.

 

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