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Il voto ai diciottenni anche al Senato non risolve i problemi: bisogna salvarli dall'algoritmo

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Andrea Amata
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Il Senato ha approvato la riforma costituzionale che conferisce ai 18enni il voto per eleggere i membri di Palazzo Madama. Così il Parlamento ha varato definitivamente la riforma che sarà promulgata tra tre mesi a meno che non verrà messo in moto il meccanismo per il referendum confermativo, dato che alla Camera sul provvedimento non sono stati raggiunti i due terzi dei voti a favore. La riforma è passata con 178 senatori a favore, 15 contrari e 30 astenuti. Già alle prossime elezioni politiche le due Camere potranno avere la stessa base elettorale con effetti di omogeneità fra i due rami del Parlamento, attenuando l'ipotesi di maggioranze politiche divergenti con effetti distorsivi sulla stabilità legislativa del Paese. Circa 4 milioni i giovani, tra i 18 e i 24 anni, potranno partecipare alle prossime elezioni, esercitando l'elettorato attivo per il Senato.

 

 

«Si favorisce così la partecipazione delle nuove generazioni alla vita politica, obiettivo che da sempre il M5s persegue, e ci si allinea agli altri Paesi europei», ha commentato il ministro M5s per i Rapporti con il Parlamento Federico D'Incà. «Il voto di oggi - ha aggiunto D'Incà - testimonia anche che il metodo delle riforme puntuali, che ha già portato alla riduzione del numero dei parlamentari lo scorso settembre, non solo è efficace ma è anche utile ad approvare le riforme necessarie con larga maggioranza, come testimonia il voto di oggi del Senato». La correlazione fra il taglio dei parlamentari e l'integrazione dell'elettorato attivo per l'assemblea senatoriale rappresenta una forzatura perché i due provvedimenti, semmai, cozzano fra di loro. Con la riduzione numerica dei parlamentari il rapporto della rappresentanza si è esteso a un senatore ogni 233 mila elettori che con il voto ai diciottenni si dilata ulteriormente a 260 mila, affievolendo quel legame fra eletto ed elettore che incide sulla responsabilità politica. Volendo pur valutare positivamente il coinvolgimento dei 18enni alla «scelta» dei senatori, la cui interdizione rappresentava un lascito anacronistico della Carta costituzionale, sarebbe fuori luogo celebrare tale riforma come un tornante della storia per il protagonismo dei giovani.

 

 

Su questi ultimi la politica dovrebbe pianificare investimenti di altra natura, soprattutto culturale ed educativa, per potenziare quella consapevolezza civica che dovrebbe essere propedeutica all'esercizio del voto. L'attribuzione dell'elettorato attivo ai giovani per il Senato rientra in una sfera meramente formalistica in assenza di una incisiva programmazione di interventi capaci di nutrire la sostanza della cittadinanza affinché le scelte non siano condizionabili dall'influencer di turno che gestisce i suoi follower come un esercito manipolabile di marionette. Oggi i giovani hanno un rapporto osmotico con i social in cui prevale la iper semplificazione, anziché l'approfondimento, mentre l'esercizio democratico rappresenta un processo complesso in cui occorre integrarsi con cognizione. La politica dovrebbe concentrarsi sui tempi preliminari alla partita della cittadinanza, dotando il percorso scolastico di anticorpi educativi per proteggere il cittadino del domani dalla imperante superficialità comunicativa che sta rischiando di derubricare la democrazia in un ring di slogan tribali. Bene il voto ai 18enni, ma ottimo sarebbe salvaguardarli dalla deriva cybercratica con il rischio di diventare prigionieri dell'algoritmo.

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