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Il Grande Occhio di Franceschini: cento telecamere nel ministero della Cultura

Filippo Caleri
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Arriva il Grande Fratello targato Dario Franceschini. Cento telecamere sorveglieranno corridoi, scale, terrazze e gli altri spazi del ministero della Cultura e registreranno i movimenti dei suoi dipendenti che non l'hanno presa bene.

Ma poco importa. Nella sede centrale del dicastero, in via del Collegio Romano nel centro della Capitale, dai primi di giugno sono già partiti i lavori per installare 100 telecamere a circuito chiuso in grado di monitorare, 24 ore al giorno, sia le aree esterne (accessi pedonali e aree di transito) ma soprattutto quelle interne. Nulla degli spostamenti dei lavoratori sfuggirà, dunque, agli addetti abilitati all'ingresso nella cosiddetta «control room».

Il centro di controllo dove i dischi informatici registreranno quanto accadrà nei corridoi, negli scaloni per l'accesso ai piani, nelle terrazze e nei cortili interni e in ogni area comune dell'edificio. Unica concessione, ovvia, ma comunque precisata nei documenti ministeriali che autorizzano il lavoro, è che dalla curiosità dell'occhio elettronico si salveranno solo gli spogliatoi e i servizi igienici riservati al personale. In tutti gli altri ambienti (le telecamere non possono riprendere le postazioni fisiche dei lavoratori per non contravvenire alle norme dello Statuto dei lavoratori) ogni spostamento sarà ripreso. Tutto registrato e visibile per 168 ore, prima della distruzione. Tutto. Anche quante volte si esce da una stanza per andare in un'altra, o quante altre volte si entra nei locali che ospitano le toilette, o ancora chi si incontra nei corridoi per lavoro o solo per una pausa. Nulla potrà sfuggire al grande occhio che la direzione organizzazione del dicastero, con l'approvazione del ministro, sta per accendere nel vecchio palazzo romano.

Un'iniziativa che, nonostante i rischi di possibili violazioni alle normative del lavoro e della privacy, è stata fortemente voluta proprio dall'amministrazione che non ha mai preso in esame la contrarietà che i lavoratori hanno fatto pervenire attraverso le loro organizzazioni. Tre incontri ufficiali e reiterati scambi di mail non sono bastati a trovare una soluzione condivisa sul progetto immediatamente contestato dai dipendenti. Eppure le intenzioni per trovare un'intesa c'erano tutte. Lo scorso ottobre, quando le sigle erano state portate a conoscenza dell'iniziativa, erano state espresse tutte le perplessità sulle sue finalità. Non c'era stata, però, una chiusura definitiva. I rappresentanti avevano solo fatto presente l'invasività del videocontrollo e per questo avevano chiesto, non l'azzeramento, ma solo riduzione del numero degli impianti, soprattutto nei corridoi dove secondo loro, i punti video sono piazzati così vicino (a pochi meth l'uno dall'altra) da azzerare ogni zona d'ombra. Una richiesta comprensibile ma rinviata al mittente sul presupposto della necessità cogente di elevare all'interno della sede il livello della sicurezza «antropica».

Un termine sibillino con il quale si identifica la pericolosità (diretta o indiretta), per la vita umana e l'ambiente, derivante da attività umane po Progetto La mappa di uno dei piani interessati dal posizionamento delle telecamere a circuto chiuso I punti rossi corrispondono alla postazione dei video tenzialmente pericolose. Alla domanda di spiegare quale fosse la minaccia al palazzo nel centro di Roma le spiegazioni addotte si sono rivelate poco convincenti secondo i lavoratori. La prima è stata quella di preservare il complesso da potenziali attacchi terroristici seguita dalla necessità di prevenire furti, effettivamente accaduti nel ministero come nel caso della sparizione di personal computer. Situazione superata, pere), con l'ausilio di semplici catenelle che ancorano i Pc alle scrivanie. I sindacati non convinti hanno dovuto comunque ingoiare il boccone amaro. Si perché la direzione competente, dopo aver inviato un verbale con le specifiche dell'appalto, senza aver inserito una sola delle modifiche suggerite dai lavoratori, e dunque senza una sola firma di approvazione da parte loro, ha usato la possibilità di portare avanti il procedimento rivolgendo l'istanza di autorizzazione all'Ispettorato del lavoro.

L'ente di controllo l'ha concessa il 12 febbraio scorso non senza ricordare il rispetto di tutte le normative in materia di trattamento dei dati personali e rimarcando che «l'estrazione delle immagini dovrebbe avvenire solo al verificarsi ipotesi criminose o di eventi dannosi». Insomma nonostante le lamentele e i mal di pancia delle centinaia di persone che gravitano giornal mente nel ministero il progetto non si è fermato. La commessa che vale 2,578 milioni di euro (elaborata dal gruppo di progettazione Ideait) è rimasta in piedi e una mail ha informato le organizzazioni sindacali che il 3 giugno sarebbero partiti i lavori.

In particolare, ha chiarito la comunicazione, «i primi giorni di lavorazione, saranno destinati all'apprestamento delle aree oggetto di intervento, alle attività di scarico e stoccaggio materiale mentre le opere vere e proprie avranno seguito, a partire dal piano quinto, da martedì 8 giugno 2021». Insomma lavoratori avvisati: tra breve qualcuno li guarderà. Telecamere e control room non si faranno sfuggire un solo fotogramma delle loro attività, in perfetto stile Grande Fratello. Non è chiaro a questo punto se il progetto preveda anche un confessionale simile a quello del celebre format televisivo. Magari per chiamare i dipendenti più «mobili» tra le stanze ministeriali a confessare i loro peccati.

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