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Non c'è niente in Comune: i partiti mostrino un po' di dignità e non regalino le città alla sinistra

Francesco Storace
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Come al gioco dell'oca. Si torna indietro dopo aver scoperto che non c'è nulla in Comune. E vero che a sinistra sono morti, ma anche a destra non stanno tanto bene. Le elezioni amministrative si avvicinano e ai blocchi di partenza non si vede niente di concreto per i magnifici tre del centrodestra. Ogni settimana si decide in quella successiva. Va avanti così da troppi mesi. Appesi per settimane alla magnifica società civile di Gabriele Albertini e Guido Bertolaso questi sono i giorni delle musate dai candidati a lungo attesi. E a meno di miracoli nella disponibilità di altre personalità note, il piatto resta vuoto. Ci sono i voti, non si sa a chi indirizzarli. Tutti sanno che la maggioranza degli italiani guarda a destra, mancano le bandiere da sventolare per i municipi. Il che può anche capitare, soprattutto nel momento in cui la competizione pare comunque essere senza rivali. Perché la sinistra e i grillini sono impegnati seriamente nel fare figuracce, ma non può essere l'alibi per sciupare la grande occasione. L'opinione pubblica non lo gradisce davvero.

 

 

Personalmente ho vissuto male quei no pronunciati da Albertini e Bertolaso. Perché proprio loro sanno benissimo che quel che gli veniva proposto non era certo da disprezzare. Albertini ha già governato - e bene - Milano; Bertolaso da una vita che sogna il Campidoglio. Possibile che ormai le due città siano diventate come foresterie da ripulire solo sporcandosi le mani e quindi non degne della loro attenzione? Le esitazioni dei partiti sono state più importanti dell'amore verso il territorio? Ci ostiniamo a non crederlo. Sono esasperanti quei rifiuti di candidatura. Non è giusto per i cittadini. Albertini e Bertolaso, di fronte alla disponibilità unanime del centrodestra, avrebbero il dovere di dire si, combatto. Tirarsi indietro è triste, non è degno di loro. Tutto questo pare un gioco e nemmeno divertente. A fare la parte dei leoni sono due vecchie volpi della politica di Forza Italia. Maurizio Gasparri dice che a Roma andrebbe benissimo Antonio Tajani. E come ai gloriosi tempi andati, Tajani replica che Gasparri sarebbe la soluzione. Tric e trac.

I partiti del centrodestra - e soprattutto quelli che nei territori paiono avere i consensi più alti - farebbero bene a rispondere ad una domanda che è sulla bocca di molti. Ma ce l'avete uno straccio di classe dirigente in grado di competere per sfide che dovrebbero scatenare più emozioni che ambizioni, più rischi che tornaconti personali? Ma che cosa c'è di più bello se non guidare quelle folle pronte a scatenarsi per il Campidoglio come per Palazzo Marino, ad entrare in ogni casa spinti dall'entusiasmo di chi vede il cambiamento a portata di mano? E per questo è drammatico pensare che chi di qui a qualche stagione potrebbe rivestire elevatissime responsabilità istituzionali e di governo non possa annoverare tra le proprie fila uomini e donne in grado di guidare l'assalto alle fortezze del potere locale. Soprattutto a Roma - che conosciamo meglio di altre città - è incredibile che non ci sia un solo parlamentare che rappresenti una delle forze politiche più grandi che alzi la mano per dire che lui ci sta. Che è pronto a indossare la casacca dell'alfiere di una battaglia campale.

 

 

Mentre scriviamo queste righe sconsolate, sul taccuino tornano gloriosi e antichi nomi pronti alla sfida nei loro territori: Vincenzo Zaccheo a Latina, Roberto Maroni a Varese. «Ex» che hanno molto più coraggio dei protagonisti di oggi. Il centrodestra ha già perso troppo tempo e ci vogliamo augurare di poter fare il nostro in bocca al lupo ai candidati di Roma, Milano e delle altre grandi città, non più tardi di domenica prossima. Impiegate queste giornate per fare sondaggi, vedervi, decidere sui nomi che più vi garbano. Ma dateli ad una pubblica opinione che vuole essere orgogliosa di chi avrà il compito di sfidare i sindaci uscenti - pensate un po' a quanta voglia c'è in questa povera nostra Capitale - senza precipitare di nuovo nelle braccia di una sinistra che proprio Roma è stata capace di bruciare il suo pezzo più famoso, Nicola Zingaretti. Lo dico, col permesso del nostro direttore, anzitutto a Matteo Salvini e a Giorgia Meloni, mentre a Silvio Berlusconi nessuno può davvero rimproverare nulla se non di essersi ammalato (e quanto manca la sua capacità di mediazione, «concavo e convesso»). In questa partita delle grandi amministrazioni territoriali, i due campioni del centrodestra si giocano larga parte della loro credibilità. E inimmaginabile ogni ulteriore indugio nella scelta dei candidati sindaci: significherebbe ammettere di non avere personalità capaci di governare. Il quesito successivo sarebbe: e come pensate di governare l'Italia? Ecco, impegnatevi al massimo, dedicatevi in questa settimana solo ai sindaci, dateci la possibilità di combattere al loro fianco. A Roma vorremmo almeno sperare di liberarci dei cinghiali che ormai ci fanno compagnia o degli autobus che prendono fuoco. Non devono pensarci i cittadini da soli.

 

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