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Massimo D'Alema cambia vita e ora è uomo d'affari: è consulente di impresa per l'Asia

Fosca Bincher
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A sentire lui - Massimo D'Alema - l'Italia dovrebbe solo ringraziarlo per avere dato una mano nella prima fase della pandemia a trovare quei ventilatori polmonari di cui erano prive molte terapie intensive: “Ritengo”, ha detto in una intervista al Corriere della Sera, “che chi si è attivato per il nostro Paese vada ringraziato; per quanto mi riguarda, ho solo messo in contatto le due parti” . E in effetti l'ex leader politico della sinistra italiana verrà sentito come persona informata dei fatti proprio per ricostruire quella intermediazione di un anno fa. Lui l'ha spiegata così nella stessa intervista: “Il problema era che lo Stato italiano poteva pagare alla consegna mentre i cinesi chiedevano che si saldasse al momento dell’ordine. Un’associazione internazionale, di cui faccio parte, si fece carico di comprare questi ventilatori per conto del governo italiano, anticipando di fatto i soldi”. Ed è per questo che il suo nome compare nel contratto Covid 1374 del 13 marzo scorso sottoscritto dalla protezione civile italiana con la Silk Road Global Information di Pechino per l'acquisto di 140 ventilatori Aeon Med Vg70 al prezzo unitario di 19 mila euro per un totale di 2.660.000 euro Iva esclusa. I ventilatori sono effettivamente stati acquistati, anche se non è chiaro se proprio per quel numero, perché il pagamento della protezione civile è avvenuto il 12 maggio dello scorso anno su un conto corrente della China Merchants Bank per una cifra inferiore: 1,9 milioni di euro. O i ventilatori erano meno, o proprio D'Alema è riuscito a fare avere un buono sconto. Perché il nome dell' ex leader politico è comparso proprio nella e-.mail di conferma dei cinesi sulla transazione: “Abbiamo avuto informazione dall'onorevole D'Alema Massimo che il vostro governo acquisterà tutti i ventilatori contenuti nella lista allegata. Accettiamo i termini di pagamento che avete proposto...”.

 

 

Certo da ex segretario dei Ds e leader influente della politica italiana, nonché come ex capo di governo e ministro degli Esteri D'Alema ha antichi rapporti con la nomenklatura cinese, ma non è stata “politica” la sua intermediazione. Perché il lìder Maximo che tutti abbiamo in mente in realtà da un paio di anni a questa parte ha cambiato vita: è diventato un uomo di affari a tutto tondo. Sapevamo che molta parte del suo tempo era dedicata all'azienda vinicola di famiglia nella provincia di Terni, la Madeleine società semplice. Nel 2019 le ha affiancato un'altra società,. La Silk Road Wines srl, che come si capisce dal nome voleva sfruttare gli accordi della via della Seta con l'Italia per esportare là il suo vino. Non a caso la nuova società è in partnership fra la famiglia D'Alema e quella del suo enologo di fiducia, Riccardo Cotarella (che è il più importante enologo del mondo ed è anche consulente di Bruno Vespa nella sua azienda vinicola). Ma quello stesso anno D'Alema ha aperto un'altra boutique che è diventata il centro dei suoi interessi: la DL & M advisor srl, con sede a Roma, che si occupa soprattutto di consulenza strategica. Aperta il 18 gennaio di quell'anno con un capitale sociale di 500 euro da lui stesso versato, non ha altri azionisti. E anche la sigla sembra farlo capire: non è depositata per intera, ma certo quel “DL & M” riecheggia le lettere del suo cognome e del suo nome di battesimo.

 

 

Lo statuto evidenzia come la politica non c'entri nulla con la sua missione, e come D'Alema sia diventato davvero un business man a tutto tondo. L'oggetto sociale infatti è quello della “assistenza aziendale e la consulenza in favore di persone fisiche e giuridiche in merito alla ricerca ed implementazione di business opportunities, in particolare in ambito internazionale” e “l'organizzazione di un advisory istituzionale per imprese che vogliano internazionalizzare la propria produzione e/o la propria attività”.Dalla documentazione si capisce che la specializzazione della società è appunto la consulenza alle imprese per entrare nei mercati asiatici e africani con buone opportunità di business. Disponibile solo il bilancio 2019 della società, che è relativo solo i poco più di nove mesi in cui l'attività è stata effettivamente esercitata (data di inizio a marzo). I dati per essere una start up solo in spicchio d'anno sono lusinghieri: 172 mila euro di fatturato, un capitale circolante di 71 mila euro, un cash flow positivo di 35 mila euro e un utile netto finale di 28 mila euro pari al 16,28% del fatturato. Assai contenuto l'indebitamento, pari al 2,64% del capitale proprio. Un ottimo inizio, e chissà che nel 2020 proprio nel momento in cui la Cina è diventata decisiva per molte transazioni finanziarie e commerciali, gli affari non siano davvero esplosi.

 

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