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Riaprire è un dovere non uno slogan, sennò che fanno lì Lega e FI?

Franco Bechis
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Sembra una buona idea chiamare il prossimo decreto legge sulla pandemia «decreto riaperture», nome di battesimo che è circolato in questi giorni. Ed è giusto quel che ha detto il premier Mario Draghi ieri nel brevissimo incontro che ha avuto con i presidenti delle Regioni, e cioé che agli italiani bisogna offrire «speranza e gusto nel futuro». Solo che fin qui la sola offerta che c'è stata è Speranza - Roberto - nel presente. E cioé un ministro-saracinesca, che ha fatto del lockdown una religione a cui forse è stato convertito dal braccio destro Walter Ricciardi, la più grande Cassandra che abbiamo visto all'opera nell'ultimo anno.

 

 

Di decreti battezzati con nomi fantasiosi e di slogan roboanti ne abbiamo visti tanti dalla primavera dello scorso anno. Dal Cura Italia che questo paese ha fatto ammalare più di prima ai decreti ristori che hanno lasciato lo stomaco vuoto passando attraverso il decreto «Rilancio Italia», dopo cui il Paese è affondato. Quella degli slogan facili è una strada che si pensava abbandonata per sempre con l'uscita di scena del duo Giuseppe Conte-Rocco Casalino, c'è da augurarsi non la si imbocchi di nuovo. C'è un solo modo per farlo: stabilire nel prossimo decreto le riaperture delle attività produttive e commerciali sul territorio a seconda della situazione dell'epidemia, reintroducendo subito le zone gialle che non si capisce bene perché siano scomparse dall'orizzonte.

Il «gusto» del futuro non c'è perché da un anno è stato tolto agli italiani, che pericolosamente si sono rassegnati come nessun altro popolo europeo. Non è un bel segno il fatto che contro il lockdown protestino tutte le principali piazze europee e qui non si alzi più nemmeno la voce, non si senta più nemmeno l'anelito a una libertà che è diritto costituzionale oltre che esigenza primaria dell'uomo. Fossi nel presidente del Consiglio me ne preoccuperei invece di stare a inseguire e multare qualche gruppo di ragazzi che finge di fare attività motoria nei parchi.

Giustamente questo diritto alla libertà è stato difeso con toni anche forti da esponenti politici del centrodestra durante l'anno di opposizione. Hanno rappresentato anche le vittime di questa chiusura: ristoratori, commercianti, partite Iva e tutta quell'Italia che era stata dimenticata e umiliata da chi aveva la maggioranza di governo, che la considerava quasi nemica di classe. Oggi c'è un nuovo governo e una nuova maggioranza. Fin qui però nulla di diverso da quel che è stato, salvo la persona di Draghi e il suo modo di comunicare più sobrio. Certo è meglio invece del grottesco Conte con «Ho fatto lo sforzo finanziario più poderoso della storia della Repubblica», ascoltare le parole del successore: «Abbiamo fatto il possibile nel limite del possibile cercando di venire incontro per quanto possibile, e mi rendo conto che è poco». Questo è un cambio di stile, ma se in tasca finiscono le briciole e dopo un anno così nulla cambia nella sostanza, la sobrietà vale davvero nulla. Metà del governo è composto con gli stessi che prima avevano messo l'Italia in ginocchio, ma l'altra metà? Lega e Forza Italia che stanno lì a fare? Giorgia Meloni continua a dire le stesse cose di prima con coerenza, ed è la sola a rappresentare quelle categorie. Ma sta all'opposizione. Anche Matteo Salvini insiste sulla necessità di stabilire ora il ritorno alla vita produttiva di tutti a seconda dell'andamento dei contagi. Lui lo dice, ma i ministri della Lega in consiglio dei ministri, che fanno? E quelli di Forza Italia? Tutti ipnotizzati e terrorizzati da Speranza? Sarebbe triste davvero.

 

 

Oggi si riaprono le scuole, e resteranno aperte anche in zona rossa: è il luogo dei maggiori contagi, senza paragone con altri. Ma è vero che la didattica a distanza non ha funzionato e che i ragazzi non possono più essere piegati come è accaduto in questi mesi. Va bene. Ogni giorno da un anno va al suo lavoro perché non si può farne a meno un infermiere/a che ora è stato vaccinato o un cassiere/a di un supermercato che verrà vaccinato chissà quando. Prende magari un trenino locale da fuori città, zeppo come un carro bestiame. Poi una metropolitana e magari un bus che non è da meno. Non valeva la protezione delle loro vite, solo perché avevamo bisogno del loro lavoro? E allora il lockdown ha protetto alcuni, mandando allo sbaraglio le vite di altri se davvero il rischio c'era. Ha chiuso qualcuno e lasciato aperto altri. È stato uno strumento di punizione selettiva, non una misura di protezione dei cittadini di un Paese. È stata la più grande ingiustizia che abbiamo subito nella storia dell'Italia democratica. Scelta dai vertici di uno Stato solo per proteggere se stessi, coprire i propri errori, i doveri non onorati, l'assoluta inefficienza della macchina pubblica.

Quelli che dovevano raddoppiare posti letto e terapie intensive e non l'hanno fatto, che dovevano salvare vite e continuano a non farlo, che dovevano sapere rispondere all'emergenza della pandemia e non sono stati capaci a farlo. Dopo un anno nulla è cambiato. Si riempono la bocca di slogan e parole vuote, ma quando un cittadino si ammala davanti trova un muro di gomma: non sa manco a chi rivolgersi, e se trova qualcuno che lo consideri qualcosa più di un numero, viene tenuto a casa a pastiglie di sola tachipirina che è ben noto non serva a un fico secco con il Covid 19. Almeno un capo di governo come Angela Merkel ha chiesto scusa a tutti i cittadini di tutto questo, di non essere stata capace di risolvere se non chiudendo. Da noi si continua a rovesciare quella responsabilità che ha chi governa sui cittadini, colpevolizzandoli oltre ogni misura. Non è più tollerabile.

 

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