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Non è un governo da Draghi. Speriamo che il meglio debba ancora venire

Franco Bechis
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Pensavamo fosse molto complicato fare il governo per Mario Draghi, che nel mare politico di questi anni non si era mai tuffato. Invece il prof. - premier ha avuto una idea semplice e a suo modo geniale: usare il “Bimbi”, il frullatore amico di ogni casalinga e il risultato è arrivato. Ha messo dentro la lista dei ministri e dei loro collaboratori che componevano i governi negli ultimi dieci anni: uno scampolo di quello guidato da Silvio Berlusconi, un pezzettino di Enrico Letta, un po' di Matteo Renzi, ed entrambi gli esecutivi Conte. Tutti “in the box”, direbbe Fabio Caressa, Bimbi in azione ed ecco sfornata la torta del Draghi Uno. Certo, mancavano le cose più gustose, ed ecco arrivare le ciliegine del premier e un po' di crosta per irrobustire aggiunta da Sergio Mattarella.

Eccolo il nuovo esecutivo, molto più politico e molto meno in discontinuità di quel che ci si sarebbe attesi. Perché nella sua composizione certo non sembra un governo così di svolta. Un po' sì, ci mancherebbe. Non sentiremo più parlare di Giuseppe Conte, e questo era quasi scontato. E nemmeno di Lucia Azzolina che esce di scena a cavallo dei suoi banchi a rotelle, o di Alfonso Bonafede che finisce prescritto. Via anche Nunzia Catalfo, antipasto di una svolta che ci si prefigura sulla gestione di Inps e reddito di cittadinanza: lascerà il posto ad Andrea Orlando, che riappare in una compagine governativa mentre scompare l'altro ex vicesegretario del Pd, Paola De Micheli.

Sparisce dal gruppo anche il ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri, che era uno dei bersagli principali di Matteo Renzi al momento di dare la spallata al Conte bis. Scompaiono anche altri volti più o meno noti dell'esecutivo precedente (qualcuno a dire il vero mai pervenuto come l'ex dell'Università Gaetano Manfredi). Ma restano ministri che sono stati chiave nel governo precedente, come Roberto Speranza alla Salute, Luciana Lamorgese all'Interno e Lorenzo Guerini alla Difesa, tutti e tre in quota Mattarella che non ha lasciato scelta a Draghi. Mattarella ha voluto invece una novità nella quarta casella che si era riservato, quella della Giustizia dove è approdata l'ex presidente della Corte Costituzionale, Marta Cartabia. Un salto di qualità notevole, anche se lei è esperta soprattutto nel diritto costituzionale e conosce un po' meno il funzionamento delle aule dei tribunali, civili o penali che siano. Restano al loro posto anche due altri ministri, Luigi Di Maio agli Esteri, che è un ulteriore schiaffo a Conte (e all'e portavoce Rocco Casalino), e Dario Franceschini ai Beni culturali che cedendo qualche delega diventeranno ora ministero della Cultura. Sono i due volti che dicono come non sia stato un trionfo né per il M5s di ispirazione contiana (anzi!) né per il Pd più vicino a Nicola Zingaretti. Qui anzi le scelte di Draghi aprono qualche ferita, allargando a tutte le anime, ma sacrificando quella Ds. Viene dal governo di Enrico Letta il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Enrico Giovannini, come il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Roberto Garofali, uno dei più brillanti presidenti di sezione del Consiglio di Stato che fu anche capo di gabinetto al Tesoro con Piercarlo Padoan ministro. Viene dall'inner circle di Romano Prodi il nuovo ministro dell'Istruzione, Patrizio Bianchi.

E ora il bilancino degli altri: dal governo Conte Uno arrivano i tre ministri leghisti, Giancarlo Giorgetti, Erika Stefani e Massimo Garavaglia. Avranno incarichi che in due casi ha proposto proprio Salvini, ma non fanno parte del suo cerchio più stretto. E Giorgetti è lì probabilmente proprio per la grande amicizia personale con Draghi. Stessa caratteristica per la delegazione di Forza Italia, dove solo Mariastella Gelmini è restata nel circolo più vicino a Silvio Berlusconi. Renato Brunetta assai meno, ed è lì come Giorgetti anche grazie ai rapporti personali con Draghi. Mara Carfagna torna al governo ma da Forza Italia aveva mezzo piede fuori. E' contento invece Matteo Renzi, senza il quale questo governo non sarebbe mai nato, anche se dispiaciuto per l'ostracismo alla sua Teresa Bellanova che dentro il Bimbi non hanno voluto fare entrare. Riporta alla famiglia la sua Elena Bonetti, che ha rapporti importanti con il mondo cattolico, è entusiasta dell'arrivo della Cartabia alla Giustizia e considera una conquista la nomina di Roberto Cingolani al nascente ministero della transizione ecologica. E' un tecnico, ma in rapporti di stretta amicizia con Renzi tanto da avere partecipato a numerose Leopolde sia quando Matteo era in auge sia quando era finito quasi in disgrazia, ed ha guidato molte lezioni alla scuola di formazione politica dei renziani.

Non ha lasciato molto a sé Draghi: certo ha voluto Garofoli come spalla di fiducia, ha messo un altro collaboratore fidato come Daniele Franco al ministero dell'Economia, imposto Vittorio Colao alla transizione digitale e scelto Cristina Messa, rettore della Bicocca all'Università. In più ha voluto tenersi la delega ai rapporti con la Ue: non una presa enorme sul nuovo esecutivo.

Il Cencelli applicato alla perfezione come avrebbe fatto un democristiano di lungo corso, otto ministri confermati o spostati ma comunque provenienti dal precedente esecutivo. Non è un governo di svolta radicale, anche se di qualità mediamente superiore a quel che fin qui abbiamo visto. Ci si attendeva anche qualcosa di più da uno come Draghi. Speriamo che il contenuto dellka torta sfornata dal frullatore si riveli un pizzico più gustoso...
 

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