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Governo con Mario Draghi, le grane del premier incaricato: dal Mes al Recovery fino agli immigrati

Pietro De Leo
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Le metafore sono molteplici, ma al di là dell'entusiasmo (per via del suo indubbio profilo) attorno alla figura di Mario Draghi, quella che il presidente incaricato ha di fronte è una montagna irta di asperità, trappole e pericolo slavine. Perché, se scendiamo dai principi generali al concreto delle questioni allora quell'idea di un governo plurale appare nitida nella sua difficoltà. Facendo una disamina dei punti d'agenda comprendiamo come sia tutto molto complicato, a partire dal dossier Recovery plan che, di fatto, è convinzione comune vada cambiato incisivamente rispetto al «lavoro» portato avanti dal governo Conte 2, in maniera disordinata e senza un confronto vero con le realtà economico sociali del Paese. E poi virando ver soil piano vaccinale è macro scopico che siamo molto indietro, anche per quanto riguarda l'organizzazione logistica.

Ma questi erano punti già noti. Quel che invece sarà interessante capire è il modo in cui Draghi si districherà sul resto dell'agenda politica. La sua idea di contrapposizione tra «debito buono e debito cattivo», assolutamente legittima, e la sua ostilità a politiche sussidiocratiche più volte manifestata, come si conciliano con il blocco di centrosinistra che al contrario ha portato avanti una linea fortemente assistenzialista negli ultimi due anni? Allo stesso modo, considerando, per ipotesi, una larga maggioranza che comprenda anche Forza Italia e quantomeno l'area dimaiana del Movimento 5 Stelle, quale scelta Draghi compirà sulle politiche di inclusione al lavoro? Ci sarà un salvataggio del reddito di cittadinanza (come chiedono da tempo sia gli azzurri che Italia Viva), con tutto de) che esso comporta, oppure un suo superamento privando così i pentastellati della sua misura più qualificante?

Tema di non poco conto, considerando che la questione politiche attive si pone con forza, anche in vista della prossima scadenza del blocco dei licenziamenti. Altra questione di non poco conto è quella dell'immigrazione. Al momento non è un tema centrale, ma potrebbe diventarlo tra qualche mese quando, con l'arrivo della bella stagione e un parziale rimbalzo dell'economia, il contesto incoraggerà la ripresa dei flussi.

Sul punto, è pacifico come le vocazioni politiche di Lega e Pd (la prima ha fatto nascere i decreti Salvini, il secondo li ha smontati) siano del tutto antitetiche. Ma va detto che anche Forza Italia ha sempre sposato la linea leghista sul tema. Anche questo sarebbe un nodo non facile da sciogliere per Draghi. Così come quello delle tasse e previdenza. Matteo Salvini ha indicato il no all'aumento dell'Imu e alla patrimoniale tra i punti irrinunciabili nel confronto con Draghi. Così come la difesa di Quota 100, coccarda della Lega nella breve stagione di governo con il Movimento 5 Stelle. Ma cosa accadrebbe se la Commissione Europea, in sede di confronto dopo la presentazione del Recovery plan, dovesse andare ad indicare proprio quei punti? È noto infatti che in tutti i «country report» sull'Italia l'Ue suggerisce di spostare il peso fiscale dalle persone alle cose, il che delinea lo spettro di una patrimoniale. Così come è già trapelato da mesi come la riforma delle pensioni voluta dalla lega potrebbe essere messa nel mirino proprio in sede di trattativa sui contenuti del Recovery. Altro nodo non proprio di non facile risoluzione, poi, l'accesso al Mes per il comparto sanitario. Quanto questo tema sia divisi vo è notorio (è stato una delle cause di caduta del governo Conte2, ma anche nel centro destra ci sono posizioni diverse) e di certo le posizioni sono cambiate. Vedremo se Italia Viva avrà intenzione di riproporlo con la forza e la tenacia con cui l'ha fatto nelle ultime settimane.

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