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In bocca al Draghi. Super Mario parte senza salvagente, adesso gli serve una maggioranza

Franco Bechis
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Tocca a Mario Draghi. Questa mattina alle 12 l’ex presidente della Bce salirà al Quirinale dove l’ha convocato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella che ha messo fine alle discussioni inutili della maggioranza uscente e ha puntato per un chiaro governo del Presidente proponendo l'incarico all’italiano più famoso, apprezzato, rispettato e perfino temuto nel resto del mondo. Per questa scelta ha lavorato fino all’ultimo Matteo Renzi, che la definiva «il mio sogno». Solo due settimane fa sarebbe sembrata impossibile, e bisogna dire che il leader di Italia viva in così poco tempo ha scalato una montagna impossibile raggiungendo l’obiettivo che si era prefissato e con i fatti mettendo tutti a tacere. Renzi ha resistito a pressioni fortissime, alla caccia grossa nelle fila del suo gruppo di senatori da arruolare fra le truppe di Giuseppe Conte.

 

Ha suscitato mille polemiche, ancora ieri sera quando senza avere capito nulla M5s e Pd lo accusavano di avere fatto saltare il tavolo della trattativa per bulimia sulle poltrone. E invece mirava a una sola poltrona: quella dove fare sedere l’uomo più competente che ha questa Repubblica. Perché come ha chiarito bene ieri sera il Capo dello Stato in un drammatico discorso alla Nazione, quello che viene proposto ora è un governo non politico, sulle cui poltrone non dovrebbe sedere nessun parlamentare e nessun uomo di partito. Quindi le poltrone vengono perse da tutti, Italia viva compresa.

 

Draghi non ha ancora né ricevuto né accettato un incarico, e ha una strada da percorrere tutta in salita. Se anche accettasse non sarà facilissimo per lui trovare una maggioranza parlamentare, di cui ovviamente ha bisogno. Lo sosterrebbero i renziani, ma al momento pochi altri parlamentari. Pd e M5s sono sotto choc e si trovano davanti all’ipotesi che più temevano. Nicola Zingaretti per quanto irritato non ha né il carattere né la personalità per dire di no a un appello così accorato alla responsabilità come quello arrivato ieri dal presidente della Repubblica, quindi il Pd dovrà mandare giù il boccone amaro, e il segretario del partito già ha mostrato di farlo nella tarda serata di ieri sera con un tweet. Il Movimento 5 stelle non era in grado ieri sera di spiccicare parola, e la rabbia era così grande e diffusa da rischiare la più drammatica delle spaccature in caso di un sì a Draghi: la sola scelta che lo terrebbe insieme è dire di no anche al Quirinale. Solo il centrodestra potrebbe fare partire questo tentativo e non dire un no preventivo, provando ad ascoltare un eventuale programma e giudicare una eventuale squadra proposta al Parlamento. Ieri sia Matteo Salvini che Giorgia Meloni hanno continuato a ripetere che la sola strada democratica e costituzionale sarebbe stata quella delle elezioni, ma qualche disponibilità ad ascoltare Mattarella e Draghi nelle eventuali consultazioni l’ha mostrata. Forza Italia è restata prudentemente muta, e non appoggerà un governo nemmeno guidato da Draghi se il costo dovesse essere quello di spaccare l’alleanza di centrodestra. Spingono per un sì invece le componenti più piccole e centriste dell’alleanza, da Giovanni Toti a Mara Carfagna ai centristi che già erano entrati nel mirino della caccia grossa di Conte.

 

Chi non vuole Draghi ricorda il giudizio poco lusinghiero su di lui che pronunciò quando era ancora semplicemente direttore generale del Tesoro il picconatore Francesco Cossiga. O mette sullo sfondo di quella figura l’Europa dei banchieri e dei poteri forti a cui certo non è stato estraneo. Ma Draghi è anche l’uomo che ha salvato l’Italia nel suo momento più difficile, quello della tempesta dello spread e che continua a farlo grazie al meccanismo che inventò lui anche dopo avere lasciato la Bce. Ha combattuto battaglie che ha vinto contro la Germania di Angela Merkel e la sua Bundesbank, ha certamente fatto crescere con il suo lavoro il prestigio degli italiani nel mondo. Non è mai stato misurato sulla gestione giorno per giorno, che in Bankitalia come in Bce ha sempre affidato a stretti e fidati collaboratori. Non è manco uomo di barriere ideologiche o di idee rigide, mentre è un grandissimo divulgatore e comunicatore, cosa che ha sempre curato con attenzione particolare.

 

Le persone con cui ha rapporti più stretti e che più di altre stima appartengono alla sua storia in Banca di Italia: dal governatore Ignazio Visco all’attuale membro italiano nel consiglio della Bce, Fabrizio Panetta all’ex direttore generale dell’istituto, Salvatore Rossi, oggi alla guida di Tim. Se uno deve pensare a una lista di governo per lui ideale, dovrebbe comprendere anche qualcuno di questi nomi. Come persone di cui lui si fida sono Francesco Giavazzi e Fabrizio Barca. O Paolo Mieli, che è il giornalista con cui ha migliori rapporti (ma non è l'unico), costruiti all’epoca della sua direzione del Corriere della Sera. Se dovesse andare a palazzo Chigi è probabile che si porterebbe dietro la persona di cui forse si fida di più, che viene dalla Banca di Italia ed è stato suo assistente per tutti gli anni alla Bce: Eugenio Sgriccia. O magari la portavoce di quegli anni da banchiere centrale, Karoline Schuller. Ma c’è tempo ovviamente per definire la squadra dei collaboratori e dei ministri, su cui peserà anche la scelta di Mattarella che ha adottato con drammaticità questa soluzione. Prima però bisognerà trovare in Parlamento se non una maggioranza, almeno una disponibilità a farlo partire e provare, discutendo magari i singoli provvedimenti che venissero presentati.
 

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