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Le giravolte di Conte per tenersi la poltrona e il ruolo del Colle

Riccardo Mazzoni
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Uno dei mantra di queste settimane, oltre al fermi ne «maggioranza raccogliticcia», è l'imperativo categorico a «fare presto», perché un Paese stremato non può aspettare i riti e i comodi della politica. Di tempo, in effetti, ne è già stato perso anche troppo. È inaudito, ad esempio, che dopo il ritiro della delegazione di Italia Viva dal governo, il premier abbia atteso due settimane prima di dimettersi, cercando di chiudere da solo la crisi senza nemmeno aprirla, con risultati mortificanti per lui e per l'istituzione che rappresenta. Il premier del cambiamento ha furbescamente ripescato tutto l'arsenale della peggior politica accantonando le urgenze - Recovery Plan, piano vaccinale, centinaia di decreti attuativi bloccati - per trasformare Palazzo Chigi in un suk che è proseguito anche durante le consultazioni al Quirinale, con un disprezzo senza precedenti per lamas sima carica dello Stato.

Dall'inizio della verifica al giorno delle dimissioni il Covid ha mietuto altre migliaia di morti, il Fondo monetario ha dimezzato le stime di crescita per il 2021 e l'Ufficio parlamentare di bilancio ha scoperto che nel Recovery Plan sono stati previsti 14 miliardi di spesa in più rispetto ai 209 che dovrebbe darci l'Europa. Il governo dimissionario insomma è riuscito a sforare i conti anche con i soldi non suoi. Un autentico capolavoro. In questa crisi Conte ha commesso una serie imperdonabile di errori da matita blu, come hanno impietosamente rimarcato sperimentati navigatori della politica come Pierferdinando Casini, ma nessuno o quasi ha ancora messo l'accento sul pur evidente concorso di colpa di chi ha consentito al premier di maramaldeggiare a suo piacimento, e questo qualcuno è l'inquilino del Colle, sulla cui saggezza tutti peraltro dicono di confidare per tirare fuori l'Italia da questo immenso pantano.

La crisi si era virtualmente aperta quando Renzi denunciò le clamorose manchevolezze del Recovery Plan e costrinse il premier a ritirare frettolosamente l'emendamento alla legge di bilancio con cui accentrava per sé, con un esercito di tecnici ai suoi esclusivi ordini, la governance delle risorse europee. Ma ci si è ugualmente trascinati fino alla certificazione - con i 156 voti del Senato sulle comunicazioni di Conte - che il governo non disponeva più della maggioranza in Parlamento. E come poteva un governo di minoranza andare avanti in mezzo alla pandemia e alla tragedia economica in atto? Ma neppure allora si è attivata la moral suasion per far valutare al premier l'opportunità di rimettere l'incarico, essendo venuto meno anche il quadro minimo di riferimento. 

Conte salì al Quirinale, bontà sua, ma solo per garantire che sarebbe riuscito a rafforzare la coalizione di governo attraverso la pescamiracolosa dei nuovi responsabili. L'arbitro lasciò dunque che l'avvocato del popolo gli rivendesse la sua vittoria di Pirro come un passaggio sufficiente ad affrontare le improbe sfide dei prossimi due anni. Abbiamo visto com' è andata: l'inutile e grottesco mercimonio parlamentare degliultimi giorni ha definitivamente travolto la credibilità di un premier ma è arrivato a scalfire anche il Quirinale. Negli ultimi trent' anni i capi dello Stato hanno graduato in modo molto diverso i poteri presidenziali: Scalfaro e Napolitano scelsero l'interventismo come bussola del loro mandato, pilotando la soluzione delle crisi e la sorte dei governi, mentre Mattarella ha scelto tutt' altro profilo, ma in tempi così eccezionali sul Colle più alto servirebbe molto più un timoniere che un semplice notaio.

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