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Hanno condannato la sua amica Appendino. Per Marco Travaglio non vale. E accusa i giudici: “Clown”

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La condanna alla fine è arrivata: un anno e mezzo al sindaco di Torino, Chiara Appendino per omicidio colposo come per tutti gli altri imputati per i fatti di piazza San Carlo del 3 giugno 2017 quando durante la visione su maxi schermi della finalissima di Champions League che poi perse la Juventus fu spruzzato spray al peperoncino scatenando un fuggi fuggi generale con gente travolta, molti feriti e purtroppo due donne morte per le lesioni. E' una condanna di primo grado, e l'Appendino come tutti gli imputati potrà fare valere ancora le sue ragioni in appello e fino a condanna definitiva dovrebbe essere ritenuta innocente. Le hanno riconosciuto una responsabilità oggettiva che in molti processi di primo grado è stata riconosciuta con pene maggiori e responsabilità più gravi anche a manager di aziende in cui sono capitati tragici incidenti. Spesso in secondo grado le sentenze vengono poi riscritte in altro modo, come è accaduto per la ben più grave strage di Viareggio, che tanto scandalo ha suscitato per la sua riforma.

 

Ma a gridare contro la giustizia ingiusta nel caso Appendino c'è una assoluta sorpresa: la firma che più ha costruito la sua fama sposando le tesi delle procure, quella di Marco Travaglio, direttore del Fatto Quotidiano. Si apprende per la prima volta dalle colonne di quel giornale che la giustizia può essere ingiusta, che un avviso di garanzia non può essere usato come arma per fare fuori un politico e a questo scopo nemmeno una condanna in primo grado. Travaglio a dire il vero manco ha aspettato la sentenza, perché ha messo le mani avanti sul suo quotidiano la mattina stessa di mercoledì prima dell'atteso responso. Ha raccontato di avere vissuto in prima persona i fatti di piazza San Carlo perché andò lì a recuperare la figlia che fu pure ferita. Ha accusato il processo stesso alla Appendino di essere “senza senso”. E intanto che c'era ha accusato anche i giudici che l'avevano qualche tempo fa condannata a sei mesi in un altro processo.

 

E sul quotidiano più giustizialista del mondo ha terminato la sua requisitoria così: “A questo punto, spiace dirlo, ma è sempre più arduo distinguere la giustizia dalla burla”. Così i giudici sono emissari di Dio quando infilzano i politici che non piacciono, ma dei clown quando ad essere condannato è un amico o un'amica. La burla vera dunque è quella del giustizialismo del Fatto. Su cui ora è sollevato il velo...

 

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