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Con questo Recovery Plan faranno ridere l'Europa

Franco Bechis
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Non so cosa abbiano deciso nella notte di ieri le ministre renziane Elena Bonetti e Teresa Bellanova in consiglio dei ministri, perché mentre andavamo in stampa non era ancora conclusa la discussione sul nuovo testo del «Piano nazionale di ripresa e resilienza» con cui il governo di Giuseppe Conte vuole presentarsi in Europa per chiedere oltre 200 miliardi di euro. So cosa avrei fatto io dopo avere letto la nuova versione di 172 pagine e poi quella asciugata ancora in extremis proprio ieri portandola a 160 pagine. L’avrei presa dalle mani del premier, mi sarei recato alla finestra della stanza e l’avrei lanciata giù di lì dicendo: «Ma allora davvero volete prendere tutti per i fondelli?». Perché per la terza volta in questi mesi ho letto un testo che mi fa solo vergognare di appartenere a un paese di magliari e saltimbanchi e che non oserei mai mettere nelle mani di un francese, un olandese o un tedesco. Qualcosa è meno ridicolo della prima bozza, almeno nella distribuzione di soldi sui vari capitoli, e lì il pressing renziano deve avere evidentemente avuto successo. Cito però un capitolo per rendere l’idea, quello sulla cultura e il turismo che sono stati fra i settori più danneggiati della pandemia ma venivano del tutto trascurati nella prima bozza del piano governativo. Renzi ha insistito sul capitolo e gli altri hanno versato qualche miliardo in più. Bene. Ma per fare cosa? Promuovere “forme di turismo lento e sostenibile”. Cioè una definizione fantasiosa del nulla assoluto.

Invece di avere un piano che parta da dieci tabelle con elenco degli interventi da realizzare, e poi a seguire per ognuno di quelli il crono programma come ha fatto ad esempio già mesi fa la Francia, noi abbiamo un diluvio di parole che non hanno alcun significato se non alzare la polvere sulla assoluta assenza di piani operativi. Il governo ha solo perso tempo per mesi e non sapendo cosa fare, ricorre alla sola arte in cui eccelle: quella dei parolai. Così potrete trovare scritto che “La transizione verde e la sostenibilità ambientale nel nostro Paese non possono che fondarsi sulla tutela e sulla valorizzazione del patrimonio culturale, politiche intrinsecamente ecologiche che comportano la limitazione del consumo di suolo, minimizzano l’uso di risorse naturali ed energetiche e assicurano un basso impatto ambientale”.

Via, giù dalla finestra queste sciocchezze scritte tanto per dire qualcosa. Poi vogliono passare a un pizzico di concretezza in più. Ecco cosa partoriscono i nostri cervelli: “L'Italia ha ad esempio tanti piccoli centri storici (“borghi”) e luoghi di culto, che possono offrire esperienze turistiche arricchenti e diversificate. Inoltre, sono tanti i cittadini di origine italiana nel mondo che potrebbero essere interessati a un tipo di turismo legato alla scoperta delle proprie radici. C'è però la necessità di riqualificare le strutture ricettive”. Ma va? E quindi? C'è un elenco di strutture la riqualificare, con i soldi a disposizione, i lavori da fare, i luoghi dove farli, gli appalti da organizzare? Nulla, nemmeno una riga. Parole gettate al vento, così per riempire le pagine con qualcosina. Giù dalla finestra di Palazzo Chigi anche quelle.

Naturalmente vogliono occuparsi pure di Roma, e qui deve averci messo lo zampino Rocco Casalino, perché hanno trovato un capitolo del piano con titolo ad effetto: “Caput Mundi”. Poi però ti spiegano quale sarebbe il piano: “Si vuole definire un processo innovativo di valorizzazione del patrimonio archeologico, culturale e turistico su Roma usando l’opportunità offerta dal prossimo Giubileo del 2025. Con questa azione si andranno a valorizzare quei siti minori importanti e preziosi ma non promossi e da tempo trascurati (...) Si dovrà quindi prevedere una strategia importante di integrazione ad esempio offrendo una bigliettazione congiunta e sconti tra aree principali e aree “riscoperte”. Dovranno essere incentivate le sinergie tra il mondo formativo a tutti i livelli educativi sfruttando le nuove realtà rese fruibili e ri-funzionalizzate. A conclusione degli interventi ogni sito oggetto di intervento dovrà essere corredato da una fruibilità digitale e divulgativa smart”.

Si credono dei geni per avere buttato giù banalità di questo tipo, e averci inserito anche una parola - “smart” - che fa figo e non impegna, perché non significa nulla. Giù dalla finestra anche questo capitolo. Ma non si arrendono, ne aggiungono un altro per dire che “Si investirà inoltre per supportare agli operatori culturali nella transizione green e digitale, attraverso interventi volti: a favorire la domanda e la partecipazione culturale, incentivando la transizione tecnologica degli operatori culturali e la partecipazione attiva dei cittadini; a migliorare l’ecosistema nel quali i settori culturali e creativi operano, sostenendo l’integrazione tra hub creativi e territorio attraverso l’innovazione tecnologica”. Mi fermo, dopo avere incenerito anche queste pagine perché altra funzione non hanno che riscaldare un po' in queste sere fredde di inverno. Non cito altro, perché è davvero tutto così. Ma fossi stato io in quella sala di palazzo Chigi avrei guardato tutti gli altri colleghi negli occhi: “Chi ha scritto queste idiozie?”. E man mano che qualcuno avesse alzato la mano, avrei indicato la finestra aperta: “Giù anche tu”.

Non servirà forse a nulla perché abbiamo un parlamento di pazzi abbarbicati alla loro poltrona che hanno il terrore di perdere, e quindi si inventeranno la qualunque per tenersela anche a letto la notte. Ma quel che sta per fare Matteo Renzi è la sola cosa da fare. Quelli non salteranno giù dalla finestra, ma aprirgliela indicando la via è la cosa migliore che abbia fatto per gli italiani in questi anni il leader di Italia Viva.
 

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