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Sfida a Renzi, così Mattarella ha fermato Conte. Il piano segreto di Giuseppi per tenersi la poltrona

Carlo Solimene
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Non era un bluff. Quando da Palazzo Chigi venivano diffusi spifferi sulla volontà di Giuseppe Conte di portare nell’Aula del Senato la sfida finale a Matteo Renzi, l’eventualità era realmente nei piani del premier. Convinto che quella strada avrebbe potuto portare a due sbocchi comunque favorevoli. Da un lato, se fosse andata in porto l’operazione «Responsabili», Conte si sarebbe liberato definitivamente della presenza scomoda di Italia viva in maggioranza. Dall’altro - quello più probabile, dato il sostanziale fallimento nella ricerca di senatori per puntellare il governo - anche una «crisi al buio» con possibile approdo alle elezioni sarebbe stata ben vista a Palazzo Chigi. Perché, l’«avvocato del popolo» ne era convinto, un’alleanza della sinistra con i 5 stelle e lo stesso Conte candidato premier, avrebbe potuto trionfare sul centrodestra al voto e garantirsi, così, altri cinque anni al governo.

Era questo il ragionamento sul quale si fondava quella «sicurezza» ostentata da Conte che, in parte, aveva spiazzato anche Matteo Renzi. Al punto che, nei momenti più acuti dello scontro, il premier si era spinto in un’opera di moral suasion nei confronti di Pd e 5 stelle per prospettare loro questo scenario e garantirsi, in caso di crisi, l’indisponibilità delle due forze politiche a qualsiasi altra ipotesi che non contemplasse il ritorno alle urne.

Ma i piani di Palazzo Chigi non avevano fatto i conti con il Quirinale. Che, informato degli sviluppi, è intervenuto a tenaglia. Bloccando gli istinti bellicosi tanto di Conte che di Renzi, esortato a congelare le dimissioni delle sue due ministre. Perché, è stato il ragionamento di Sergio Mattarella, una crisi di governo in questo momento avrebbe significato bloccare l’approvazione del Recovery Plan che va consegnato a febbraio all’Europa. E non si possono sacrificare 209 miliardi sull’altare delle ambizioni e delle antipatie personali.

È stato quindi il Quirinale a indirizzare le ultime fasi di un confronto politico che adesso ha come esito più probabile quel Conte Ter che, inizialmente, il premier avrebbe preferito evitare per non correre il rischio di essere ridimensionato. Le prossime fasi dovrebbero vedere l’approvazione del Recovery Plan in Cdm, tra stasera e domani, e subito dopo la salita di Conte al Colle per rassegnare le dimissioni e vedersi riassegnato l’incarico in tempi record.

Fin qui la teoria. La pratica, però, rischia di rivelarsi assai più complicata. Perché se la crisi «pilotata» consente di sostituire un po’ di ministri senza doverne ottenere le dimissioni, la scelta dei nomi per il Conte Ter sarà un passaggio tutt’altro che indolore. Goffredo Bettini, che in questa fase ha assunto un ruolo di fondamentale mediazione tra Palazzo Chigi, Pd e la stessa Italia viva, ha già indicato la ricetta per ripartire: tutti i leader nel governo come garanzia di stabilità. Ma le prime ipotesi sul tavolo - tra le quali il rientro in Consiglio dei ministri di Maria Elena Boschi, forse agli Esteri - stanno già provocando fortissimi mal di pancia in casa grillina. Se, insomma, Conte non avesse già in tasca una squadra di ministri inattaccabile da ognuna delle forze di maggioranza, il reincarico potrebbe non essere così rapido. E, con il passare dei giorni, il quadro potrebbe cambiare totalmente.

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