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Governo e crisi, meglio le elezioni che un altro esecutivo guidato da Giuseppe Conte

Alessandro Giuli
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Con il dovuto rispetto per il Quirinale e per la Costituzione più bella del mondo di cui il Colle è garante, proviamo a portarci avanti col lavoro e domandiamoci: ma davvero Sergio Mattarella può pensare così, a cuor leggero, dopo nemmeno tre anni di legislatura, di conferire un quarto incarico a un suo prescelto presidente del Consiglio? In mezzo a questo caos? Dopo l'ineffettuale tentativo con il valente prof. Cottarelli all'indomani del voto primaverile nel 2018; dopo il Giuseppe Conte 1 sorretto nello stesso anno dalla estiva e spericolata maggioranza gialloverde; dopo il BisConte dell'estate 2019 germogliato dal ribaltone dei giallorossi subentrati grazie alla nota, autolesionistica sfida salviniana del Papeete; dopo tutto questo, insomma, rieccoci da capo con la realistica possibilità di tornare al punto partenza.

Posto che quando gli eredi del Pci s'impadronisco no dello Stato non lo mollano facilmente, stabilito ormai che il MoVimento Cinque stelle si è frammentato in mille rivoli parlamentar-tribali ognuno dei quali, tuttavia, piuttosto che finire per strada sarebbe disponibile a qualsiasi esperimento tale da far sopravvivere la legislatura, qui ci troviamo comunque al cospetto d'una condizione assai anomala che il Capo dello Stato starà pur soppesando.

Ammesso che la prossima maggioranza sia molto simile alla precedente e non addirittura un prodotto di laboratorio ricombinato e arricchito, diciamo così, da monadi parlamentari devote al trasformismo o addirittura da un testacoda dei berlusconiani se non di mezzo centrodestra (in questo caso staremmo parlando di larghe intese o giù di lì), resta il fatto che il quadro politico di riferimento resterebbe di una debolezza a dir poco desolante. Che l'avvocato di Volturara Appula superi o no le insidie renziane, de) che davvero rileva è la sopraggiunta consunzione della forza propulsiva e perfino immaginativa della presente legislatura. Rimarrebbe forse l'ipotesi di un esecutivo di decantazione o di salute pubblica, ma a che prezzo? E con quali aspettative di vita, se non il debole arco temporale necessario ad accompagnare la Nazione alle urne? A ciò si aggiunge un altro elemento di estrema importanza: l'attuale nomenclatura della Camera e del Senato risulta sostanzialmente, se non pure nella forma, obliterata dal referendum che ha confermato il drastico taglio dei parlamentari imposto dai grillini.

Logica e buon senso vorrebbero che il prossimo presidente della Repubblica fosse votato da un'Assemblea rappresentativa corrispondente, almeno nei numeri, alla volontà generale degli elettori. L'esito del ragionamento è addirittura banale: piuttosto che rianimare appena un governo agonizzante (rimpasto), piuttosto che un'altra maggioranza raccogliticcia (Conte ter), piuttosto che l'ennesimo tuffo nel buio delle estenuanti liturgie consultive di Palazzo, tanto vale sciogliere le Camere e ridare voce agli italiani. Ma ecco l'obiezione delle prefiche virali: «Signora mia non si può votare in piena pandemia e con i compiti a casa ancora da scrivere per ottenere i quattrini del Recovery!». Farebbe abbastanza ridere, se non fosse il rifugio delle canaglie che preferiscono lo stallo permanente a un voto spaventoso ma risolutivo.

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