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Il Recovery secondo Giuseppi. Un piano vuoto per giustificare i miliardi Ue

Franco Bechis
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Il primo scontro è stato evitato. Ieri il consiglio dei ministri che aveva al centro il piano italiano per ottenere i fondi europei che al momento non ci sono e che serve quindi ad arruolare quell'esercito di consulenti (300) che piace tanto a Giuseppe Conte si è chiuso poco dopo la sua apertura. 

l ministro dell’Interno Luciana Lamorgese ha appreso di essere risultata positiva al Covid 19 nel tampone che aveva effettuato al mattino, e quindi si è scusata e alzandosi se ne è andata lasciando qualche preoccupazione in chi sedeva in quella stanza, soprattutto a Luigi Di Maio e Alfonso Bonafede che le sedevano al fianco. Secondo le ricostruzioni giornalistiche la Lamorgese avrebbe appreso della sua positività dal sito internet de Il Tempo, che in effetti aveva pubblicato da poco la notizia avendola verificata. Credibile o meno questa versione l’ha sicuramente tolta dall’imbarazzo nei confronti dei suoi colleghi, non proprio felici di sapere del suo ingresso in consiglio dei ministri prima di conoscere il risultato del tampone. Alla ministra- che al momento risulta asintomatica- naturalmente facciamo i migliori auguri. Possiamo anche dirle che avere costretto Conte & c a passare dal "recovery Fund" al "recoveri Lamorgese" (ci perdoni il gioco di parole) ha il suo lato non malvagio: si è evitata una nuova sceneggiata di governo risparmiando a tanti la lettura di quel chilo abbondante di banalità prive di contenuto e di qualsiasi ombra di notizia che sono le 125 pagine in bozza del Piano nazionale di ripresa e resilienza che si vorrebbe inviare alla Commissione europea.

Almeno l’abbiamo fermato e c’è la vaga speranza di non diventare ancora lo zimbello del Continente e l’augurio che quelle pagine non escano dal cassetto di chi le ha scritte, perché sono il nulla più assoluto, urticante per l’assenza di qualsiasi piano serio e in grado di farci vergognare se solo lo si raffronta con quello francese messo on line già da tempo perfino con la tempistica dei bandi necessari alla sua realizzazione. Chi ha scritto il documento italiano si è riempito la bocca di slogan e parole sonanti che non vogliono dire nulla, buone solo per l’autocompiacimento dell’autore. Esempio: in 57 sulle 125 pagine si cita il termine «digitalizzazione», ma solo come bandiera, perché non ci sono nemmeno quattro righe che spiegano quanti soldi e come verrebbero usati per cominciare per digitalizzare almeno il citofono di Palazzo Chigi. In 50 pagine si insiste sulla necessità di «sviluppo», che sembrerebbe scontata perché di solito questi piani non si scrivono per favorire la depressione di un paese. Ovviamente ci si riempe la bocca (e la penna) della parola più di moda del momento: «resilienza». Non significa nulla, ma quando non si sa che dire la si usa a tavoletta in tutta la burocrazia europea e quindi di sicuro piace e funziona. Per 22 volte si cita una «questione di genere», e 17 volte si assicura che ogni idea che verrà messa in campo corrisponderà al «green deal» europeo. Ma naturalmente non c’è l’ombra di una sola idea. Quale che sia però (29 volte) dovrà portare alla «coesione» del paese. Chi l’avrebbe mai detto?

Se pensate sia una esagerazione, vi inanello qualche citazione imperdibile tratta da quelle pagine. Si parte da una certezza positiva: «Il marchio Made in Italy è garanzia di alta qualità e originalità sui mercati internazionali in numerosi settori "tradizionali"», e poco dopo si traggono le conseguenze in modo non comprensibilissimo: «Vi è pertanto una pressante esigenza di migliorare la resilienza delle infrastrutture». Certo, sarebbe meglio che i ponti non crollassero come accaduto prima a Genova e poi in tanti altri posti, perché questo «made in Italy» pare sia poco apprezzato fuori dai confini: meglio fare ponti un pizzico più resilienti.

Ma la supercazzola pervade tutto il piano, che «segue un approccio "mission-oriented" considerando problemi specifici e concreti quali il digital divide con cui hanno dovuto fare i conti gli studenti durante il lockdown, l’inquinamento delle città e la disoccupazione giovanile». L’Italia propone all’Europa (che ce l’ha) una «PA competente. Rafforzamento e valorizzazione del capitale umano attraverso politiche mirate di reclutamento del personale con le competenze necessarie e interventi di formazione per il personale attualmente impiegato». E mica ci si limita a questo. No, pure «una PA capace. Evoluzione verso nuovi modelli organizzativi del lavoro attraverso la realizzazione di spazi attrezzati per il lavoro in comune (co-working) e il lavoro agile (smart-working) all’interno dei Poli Territoriali e la promozione di forme di lavoro agile».

Per la tenuta del territorio l’idea sarebbe quella di «potenziare gli interventi di mitigazione del dissesto idrogeologico e di incremento della resilienza agli eventi climatici estremi; di promuovere l’utilizzo sostenibile (civile ed irriguo) della risorsa idrica e la qualità di acque interne e marine». Sulla scuola Conte vuole «migliorare i risultati e i rendimenti del sistema scolastico e di quello universitario, che rappresentano una condizione essenziale per una crescita intelligente, inclusiva e sostenibile». Sulle questioni di genere «Un’attenzione particolare viene riservata all’empowerment femminile con progetti volti a promuovere efficacemente l’inclusione e la partecipazione attiva delle donne nel mercato del lavoro, contrastando il divario di genere all’interno delle organizzazioni e potenziando alcuni servizi utili (per l’infanzia, per le categorie fragili, per gli anziani) anche per alleggerire i "carichi di cura" che nella società italiana continuano a gravare in maniera iniqua sulle donne». E cito pure la sanità, dove «con l’aumento della popolazione anziana, il SSN deve quindi orientarsi sempre di più ad una domanda di salute e a bisogni complessi, che necessitano di una offerta di servizi integrati della rete di assistenziale territoriale, quale elemento imprescindibile per garantire una risposta assistenziale appropriata ed efficace ai propri cittadini». Capito che piani raffinati? Sicuri che Ursula von der Leyen li leggerà e innamorandosene comincerà a sganciare fiori di miliardi? Temo che si debba ringraziare quel tampone della Lamorgese. Almeno ci ha evitato la figuraccia per un po’.

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