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L'ultimo pasticcio sui numeri del Covid

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Alberto Di Majo
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I governatori continuano a protestare ma, in alcuni casi, hanno trasmesso dati incompleti, il ministro della Sanità Roberto Speranza prova a spiegare, senza riuscirci, perché alcune Regioni siano state classificate rosse e altre, con parametri che appaiono peggiori, gialle. Ognuno, virologi compresi, dà i (suoi) numeri. Mentre il calcolo che sintetizza i famosi 21 criteri che determinano il «coefficiente di rischio» di ogni zona e, dunque, le misure per fronteggiare il Covid, resta un mistero. Benvenuti nell’ultimo pasticcio all’italiana. Un misto di superficialità, sottovalutazione, interessi di parte e mancata trasparenza. Tanto che lo stesso premier Giuseppe Conte è corso ai ripari: «Ho voluto che nel decreto ristori bis fosse inserita una norma che contribuirà a rendere ancora più chiaro e trasparente il meccanismo di monitoraggio, in modo che la comunità scientifica e tutti i cittadini possano accedere a queste informazioni», ha detto ieri al Corriere della Sera.

Gli indicatori elaborati dall’algoritmo «fantasma» che divide le singole zone nei tre colori decisi da Palazzo Chigi sono stati scelti più di sei mesi fa, inseriti nel decreto approvato il 30 aprile scorso, ma non hanno mai avuto grande pubblicità (solo due giorni fa alla Camera il ministro Speranza li ha ribaditi). Che il governo sia in difficoltà è testimoniato anche dal fatto che lo stesso numero uno del dicastero non abbia ancora risposto all’interpellanza urgente presentata il 3 novembre da uno dei partiti che sostengono la maggioranza - Italia Viva - che ha chiesto proprio di esporre dati e criteri che hanno spinto il premier a firmare il provvedimento con cui sono state stabilite le nuove misure restrittive. «Mancano i dati, vorremmo averli tutti: sapere chi entra e chi esce dagli ospedali, le fasce d’età, la gravità delle loro condizioni, quando e come guariscono e tutti gli altri parametri che invece rimangono misteriosi», puntellano i renziani. Se a questo si aggiunge che i dati che arrivano alla cabina di regia, formata da tre esperti designati dalla Conferenza delle Regioni, e anche al Comitato tecnico scientifico, spesso sono parziali, allora si comprende la confusione.

 

 

«Nel report della settimana scorsa, su cui si è basato il governo, 5 regioni avevano una percentuale di rischio non calcolabile non avendo consegnato tutti i dati», ha attaccato il presidente del Piemonte Alberto Cirio. Non mancano le stravaganze: in Campania i posti liberi in terapia intensiva risultavano 113 il 19 ottobre, l’altroieri erano saliti a 590. Una magia. In Calabria 4 mila tamponi sarebbero ancora bloccati nei laboratori di Catanzaro e, ovviamente, potrebbero avere un impatto rilevante sui dati della regione già inserita, comunque, tra le zone rosse. Liguria, Veneto, Abruzzo e Basilicata avrebbero consegnato alla cabina di regia numeri parziali, mancherebbero i valori di uno o più indicatori. La Regione guidata da Luca Zaia, peraltro, ha chiesto di cambiare il sistema di monitoraggio, inadeguato.

Insomma, l’algoritmo si nutrirebbe di numeri sbagliati e i 21 criteri dovrebbero essere modificati. Per ora sono divisi in tre ambiti che riguardano la capacità di monitoraggio, l’accertamento diagnostico e la gestione dei contatti e, infine, i risultati relativi alla stabilità di trasmissione e alla tenuta dei servizi sanitari. Eccoli nello specifico: 1. Numero di casi sintomatici notificati per mese; 2. Numero di casi notificati per mese con storia di ricovero in ospedale (in reparti diversi dalla TI). 3. Numero di casi notificati per mese con storia di trasferimento/ricovero in reparto di terapia intensiva (TI); 4. Numero di casi notificati per mese in cui è riportato il comune di domicilio o residenza/totale di casi notificati al sistema di sorveglianza nello stesso periodo. 5. Numero di checklist somministrate settimanalmente a strutture residenziali sociosanitarie (opzionale). 6. Numero di strutture residenziali sociosanitarie rispondenti alla checklist settimanalmente con almeno una criticità riscontrata (opzionale). 7. Percentuale di tamponi positivi escludendo per quanto possibile tutte le attività di screening e il «re-testing» degli stessi soggetti per mese. 8. Tempo tra data inizio sintomi e data di diagnosi. 9. Tempo tra data inizio sintomi e data di isolamento (opzionale). 10. Numero, tipologia di figure professionali e tempo/persona dedicate in ciascun servizio territoriale al contact-tracing. 11. Numero, tipologia di figure professionali e tempo/persona dedicate in ciascun servizio territoriale alle attività di prelievo/invio ai laboratori di riferimento e monitoraggio dei contatti stretti e dei casi posti rispettivamente in quarantena e isolamento. 12. Numero di casi confermati di infezione nella regione per cui sia stata effettuata una regolare indagine epidemiologica con ricerca dei contatti stretti/totale di nuovi casi di infezione confermati. 13. Numero di casi riportati alla Protezione civile negli ultimi 14 giorni. 14. Rt calcolato sulla base della sorveglianza integrata ISS. 15. Numero di casi riportati alla sorveglianza sentinella COVID-net per settimana (opzionale). 16. Numero di casi per data diagnosi e per data inizio sintomi riportati alla sorveglianza integrata COVID-19 per giorno. 17. Numero di nuovi focolai di trasmissione; 18. Numero di nuovi casi di infezione confermata da SARS-CoV-2 per Regione non associati a catene di trasmissione note. 19. Numero di accessi al PS con classificazione compatibile con quadri sindromici riconducibili a COVID-19 (opzionale). 20. Tasso di occupazione dei posti letto totali di Terapia Intensiva per pazienti COVID-19 21. Tasso di occupazione dei posti letto totali di Area Medica per pazienti COVID-19.

Le pressioni per risolvere il pasticcio dei dati arrivano dall’opposizione ma anche dalla maggioranza. Luigi Marattin, primo firmatario dell’interpellanza urgente al ministro Speranza, spiega che «in relazione al Covid-19 si calcola che fra contagio e ricovero in terapia intensiva decorrano in media circa dieci giorni, pertanto il numero di ingressi registrato in un determinato giorno può ritenersi proporzionale al numero di contagi avvenuti circa dieci giorni prima; tale latenza implica che il dato sulla variazione giornaliera del numero delle terapie intensive sia da intendersi quale indice della situazione epidemiologica sussistente nei dieci giorni precedenti, offrendo informazioni sull’efficacia delle misure di contenimento approntate in quel momento, ma non su quelle predisposte nel giorno in cui la variazione è registrata (che si vedranno nei dieci giorni successivi)». Dunque «fondamentale per capire l’evoluzione dei contagi e verificare l’efficacia delle misure di contenimento è guardare alla variazione giornaliera delle terapie intensive in maniera disaggregata, cioè analizzando il numero di accessi al netto delle dimissioni registrate nel medesimo periodo; un simile dato, tuttavia, non risulta disponibile, in quanto la variazione giornaliera dei ricoveri in terapia intensiva viene resa nota esclusivamente in forma aggregata, imputando a un’unica voce due variabili fra loro scollegate e interdipendenti; ciò rende difficile avere piena contezza della situazione epidemiologica e, soprattutto, rischia di ostacolare ogni valutazione in ordine all’efficacia e all’adeguatezza dei provvedimenti adottati dal governo». Iv chiede anche di avere i dati dei ricoveri e delle dimissioni da tutti gli altri reparti, per valutare la tenuta del sistema sanitario. Per evitare che la corsa alle misure per fronteggiare il Coronavirus lasci scoperta l’assistenza nelle altre aree sanitarie. Un rischio che coinvolge tutte le regioni, visto che già da alcuni mesi visite e interventi chirurgici non urgenti sono stati rimandati.

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