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Nel 2021 aumentano le tasse

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Alberto Di Majo
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Altro che il taglio delle tasse tanto sbandierato dalla maggioranza giallorossa, la pressione fiscale salirà anche con il secondo governo Conte. Lo scrive nero su bianco lo stesso esecutivo nella nota di aggiornamento del documento di economia e finanza. Nel 2020 le imposte hanno segnato un +0,1% e nel 2021 l’aumento toccherà lo 0,5%, facendo arrivare la pressione fiscale al 43% (42,5 quest’anno).

Secondo le previsioni del governo una riduzione ci sarebbe soltanto nel 2022 (-0,2%) e nel 2023 (-0,4%). Per questo Palazzo Chigi nella Nadef approvata ieri ha tentato di sfumare l’aumento di questi due anni considerando l’intero periodo, fino al 2023: «La pressione fiscale a legislazione vigente è attesa salire di un decimo di punto percentuale nel 2020, collocandosi al 42,5 per cento. Considerando l’intero periodo, crescerà di circa 0,1 punti percentuali, attestandosi al 42,6 per cento nel 2023. Al netto delle misure riguardanti l’erogazione del beneficio dei 100 euro, la pressione fiscale passerebbe dal 41,8 per cento del 2020 al 41,9 per cento nel 2023».
Non ci salverà nemmeno la lotta all’evasione fiscale, rivendicata dal governo e usata per diminuire la pressione fiscale. Quest’anno le previsioni non sono buone. «A differenza degli anni precedenti, si osserva immediatamente che la stima degli incassi attesi per il 2020 è sensibilmente inferiore agli incassi realizzati nel 2019, per circa 6,8 miliardi di euro» spiega il governo nella Nota. È un andamento che riflette, aggiunge, «gli effetti della sospensione dell’attività di accertamento e controllo da parte dell’Amministrazione fiscale durante la situazione di emergenza legata allo shock pandemico». Dunque i soldi recuperati «non possono contribuire ad alimentare il Fondo per la riduzione della pressione fiscale. In sede di predisposizione del disegno di Legge di bilancio 2021, quindi, non saranno iscritte risorse aggiuntive nel predetto Fondo per la riduzione della pressione fiscale».

 

 

Salirà invece il debito pubblico che il governo definisce «rilevante ancorché inevitabile»: colpa «dell’effetto combinato della caduta del Pil e delle spese effettuate per fronteggiare la crisi legata alla pandemia». La prima stima del rapporto debito/Pil nel Def ad aprile è stata ritoccata da 155,7 a 158 per cento, «prevalentemente a causa delle maggiori spese contemplate nel c.d. decreto di agosto». Nel 2021 il governo prefigura un assestamento verso il basso legato al rimbalzo della crescita che porterà il rapporto debito/Pil al 155,6%. Successivamente il rapporto dovrebbe declinare al 153,4% nel 2022 e al 151,5 nel 2023. «Riassumendo, l’evoluzione del debito risulta fortemente condizionata dalla grave crisi economica innescata dall’emergenza sanitaria. L’Italia non riuscirà quindi a rispettare la regola numerica di riduzione del debito neppure nel 2020 e 2021».

Per il resto il governo assicura che sosterrà i lavoratori e i settori produttivi più colpiti dalla pandemia e che valorizzerà le risorse messe a disposizione dal Next Generation Eu per realizzare un ampio programma di investimenti e riforme che potrebbe portare, non prima del 2022, alla crescita. Nella Nadef si annuncia anche un’ampia riforma fiscale che migliori l’equità, l’efficienza e la trasparenza del sistema tributario riducendo il carico fiscale sui redditi medi e bassi, coordinandola con l’introduzione di un assegno universale per i figli.

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