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L'Italia è in crisi e il ministro Luigi Di Maio vaneggia: la priorità è pagare meno i parlamentari

Pietro De Leo
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C’è una dimensione politica che abbiamo imparato a conoscere, un microcosmo di suggestioni anticasta come dogma quasi spirituale, che fanno volgere via lo sguardo dai problemi veri. E’ il fantastico mondo di Luigi Di Maio, che funziona per formule e meccanismi propri e indipendenti rispetto al resto. Il Movimento 5 Stelle rischia l’implosione per via dello scontro fratricida e i contraccolpi per via di visioni di corto respiro.  

Ma niente, Di Maio, incassata la vittoria del sì al referendum (sostenuto, è bene ricordarlo per onore alla verità, da un elettorato trasversale) rilancia con i temi degli anni d’oro, nell’illusione non siano mai trascorsi. Annunciando una fantasmagorica fase di cambiamento osserva: “Sarà un brutto periodo per i voltagabbana e gli assenteisti” tuona ad Andria, dove si è recato per supportare il candidato pentastellato al Comune in vista del ballottaggio. E aggiunge: “avevamo promesso che si sarebbe aperta una stagione di riforme e presto ci saranno novità sia per quanto riguarda le modifiche dei regolamenti parlamentari, quindi per quanto riguarda le proposte che avanzeremo, sia per quanto riguarda il taglio degli stipendi dei parlamentari, perché non abbiamo dimenticato le promesse che abbiamo fatto”.

Se la prende, poi, anche con gli assenteisti: “pagandoli di meno se se sono assenti in Parlamento”. Poi, per sottolineare il proprio slancio ecumenico a fronte delle gazzarre interne al movimento ha affermato: “Bene il confronto interno però voglio dire rapidità, e mettiamo sempre al centro il Paese. Teniamo la barra ditta, discutiamo al nostro interno con rapidità ma ci sono delle esigenze dei cittadini". Che però, segnaliamo, sono ben più ampie e ben più profonde rispetto alla litania sui voltagabbana e gli assenteisti. Un Paese con il Pil in crollo, con il 30% dei negozi che rischiano la chiusura (e contestuale evaporazione di 400 mila posti di lavoro) che soffre di povertà educativa e abbandoni scolastici. Il guaio è che la realtà dei problemi e le priorità del Movimento spesso non si sintonizzano sulla stessa frequenza, ed il risultato è spesso paradossale. Basta andarsi a riascoltare le parole di giubilo del Ministro degli Esteri all’indomani della vittoria del Sì al referendum sul taglio dei parlamentari. Il titolare della Farnesina, campione mediatico della riduzione degli scranni che da sempre era una battaglia storica del Movimento, una volta segnato il goal l’ha definito “un risultato che porta l’Italia a guadagnare ulteriore credibilità internazionale in uno dei momenti più difficili della storia”.

Cosa c’entri il taglio dei parlamentari è con la credibilità internazionale di un Paese è ben difficile da comprendere. Specie se quel Paese ha dato modo, proprio da quando Di Maio è al governo, di dubitare circa il mantenimento della posizione nello scacchiere atlantico. Specie se quel Paese appare marginale in Europa e ha perso terreno nello scenario complicato della Libia. Insomma, quel che è marginale diventa centrale e viceversa. Funziona così, nel fantastico mondo di Luigi Di Maio.  

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