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Covid, la profezia del ministro Speranza: tra sei mesi saremo salvi

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Il ministro della Salute Roberto Speranza in una intervista a Repubblica assicura che per il Covid bisogna resistere "sei mesi" e poi "saremo salvi". "Dobbiamo ancora mantenere il distanziamento, portare le mascherine, lavarci le mani, ma non è per sempre: dopo l'autunno e l'inverno vedremo la luce", ha detto Speranza spiegando che cura e vaccino sono vicini.

Domani riapriranno le scuole ed è già emergenza. La confusione è tanta come sulla misurazione della febbre: perché devono farlo le famiglie e non ci saranno termoscanner prima di entrare? "Come ha spiegato il Comitato tecnico scientifico, la febbre va misurata a casa perché il tragitto fino a scuola è già occasione di incontri. Pensi solo ai mezzi pubblici. E per evitare assembramenti fuori dagli istituti scolastici", risponde Speranza. 

"Nessuno pensa che la situazione sia perfetta, non abbiamo la bacchetta magica e i problemi della scuola italiana non nascono col Covid. Ma ci sono risorse senza precedenti, stiamo provando a investire sul personale scolastico e sulle attrezzature, forniremo 11 milioni di mascherine al giorno a tutti gratuitamente". Comunque, assicura Speranza, "abbiamo rafforzato di molto la nostra capacità di fare test e miglioreremo ancora. L’obiettivo che ci siamo dati è non lasciare soli presidi e insegnanti, rinsaldare il legame che si era perso tra le scuole e il Servizio sanitario nazionale. Se ci saranno casi Covid, saranno le Asl a intervenire e decidere come procedere. È un processo nuovo, dovremo imparare a gestire questi casi, per questo dico che servono nervi saldi". Alla domanda se si aspetta molti casi, il ministro osserva: "È statistico che ci siano, per questo serve un grande sforzo da parte di tutti. Numeri alla mano oggi l’Italia sta un pò meglio di altri Paesi europei". 

"Dobbiamo recuperare lo spirito unitario che a marzo e aprile ci ha permesso di piegare la curva. Dentro questo sforzo le misure del governo e delle Regioni sono una parte, ma serve il contributo di tutti: medici, pediatri, presidi, insegnanti, studenti, genitori. È una sfida che riguarda l’Italia, non un problema della Azzolina su cui fare campagna elettorale". Quanto ai fondi del Mes, "i soldi servono e ne servono tanti perché abbiamo un’occasione unica: fare una riforma che non sia fatta di tagli, ma che miri a riportare la sanità dove non c’è. Io sono favorevole al Mes, ma non mi interessa da dove arrivino i soldi, non ne guardo il colore: che vengano dal Mes, dal Recovery Fund, dal bilancio dello Stato, ma che arrivino". Infine, per la riforma "la parola chiave è prossimità: il primo luogo di cura deve essere la casa. Abbiamo una delle popolazioni più anziane del mondo, aumentano le cronicità che non vanno curate negli ospedali. Il Ssn deve arrivare nelle case con medici, infermieri, ma anche con la sanità digitale sul telefonino dei pazienti. Bisogna mettere le radici più in basso possibile sul territorio".

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