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Giacobini della mascherina, Nicola ce l'ha con Zingaretti

Pietro De Leo
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Sarà quella smania di moralismo che alla sinistra non fa mai difetto, oggi nella versione pandemica. O forse il fiato sul collo da esito di regionali particolarmente insidiose per la sua segreteria. Fatto sta che al leader del Pd Nicola Zingaretti, ieri, è scappato il piede sulla frizione. Inaugurando il «drive in» per eseguire i tamponi Covid a Fiumicino, ha detto così: «Nel momento in cui spingiamo per la ripresa della vita, ma in piena sicurezza, non posso che denunciare l’irresponsabilità e la follia di chi lavora contro l’Italia, le persone e la possibilità di rimetterci in piedi. Quel che mi permetto di fare qui è dire che ci sia una rivolta popolare contro chi ancora nega l’esistenza di un immenso problema».

Il riferimento, ovviamente, è al Covid. E ai «negazionisti», categoria che per i dogmatici della pandemia comprende un po’ tutto, anche quanti osano (con supporto di dati) far notare il minore impatto clinico del virus. Ma c’è quel termine «rivolta popolare», che ha del tragicomico. In uno slancio onirico ecco materializzarsi i giacobini della mascherina e i masanielli dell’Amuchina perlustrare le nostre città palmo palmo, lesti a bastonare chiunque non si copra il volto o dimentichi di fregarsi le mani con il disinfettante. O magari ancora trascinare via a pedate nel didietro gli utenti della Metro per costringerli a salire su un monopattino.

 

Ma no, forse la scena comica non è questa del tutto irreale. Piuttosto quella, realissima, dello scorso 27 febbraio, giorno in cui lo stesso Zingaretti, ovviamente senza mascherina, partecipò a Milano ad un aperitivo sminuendo apertamente la pericolosità della pandemia e dare un segnale di fiducia dopo le notizie dei primi contagi in Lombardia e nel capoluogo meneghino. «Un aperitivo a Milano – scriveva su Facebook il segretario Pd a corredo di una foto in cui appariva gaudente ed in compagnia di alcuni giovani – ho raccolto l’appello lanciato dal sindaco Sala e dal Pd Milano. Non perdiamo le nostre abitudini, non possiamo fermare Milano e l’Italia».

Tempo qualche giorno e, purtroppo, anche lui finì contagiato, con sintomi di una certa rilevanza, per fortuna poi superati. E persino il New York Times a marzo, parlando della situazione dei contagi in Italia, ricordò l’iniziativa sconsiderata del leader dem. Che in realtà si agganciava a tante altre genialate promosse da esponenti della sinistra, in quelle settimane più preoccupati a non far montare un sentimento anticinese in Italia che a prendere le dovute misure contro lo tsunami in arrivo (lo testimonia anche lo studio arrivato sul tavolo del governo dall’inizio di febbraio, e poi secretato che preventivava per il nostro Paese un rischio tra le 35 mila e le 60 mila vittime).

Dal brindisi alla rivolta popolare per punire chi non si piega al fondamentalismo pandemico, quindi, con massima disinvoltura. E più che le gesta di Robespierre ci torna utile un vecchio proverbio, facile facile: «il silenzio è d’oro». Già.
 

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