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Il centrodestra senza guida: se siete leader usate la testa

Francesco Storace
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Toc, toc, farebbe Nicola Porro. Ci siete? Che avete deciso? Guardi le mosse del centrodestra e ti chiedi se non sei capitato in uno di quei comuni dove la maggioranza antisinistra è netta ma poi spunta il candidato rosso che frega tutti e diventa sindaco. Troppa voglia di distinzione gli uni dagli altri, che rischia di avvicinarsi alla commedia degli inganni che si registra nella coalizione di governo, dove ognuno odia il partner. Ci si sforzi invece nell’individuazione del perimetro dell’interesse nazionale, non come strumento di propaganda ad uso elettorale, ma come piattaforma da offrire all’Italia tutta.

Poi, bisognerebbe evitare un “sindaco” alla Conte, che non a caso la mente più raffinata del Pd, Goffredo Bettini, ha innalzato sugli scudi alla luce dei sondaggi. I sondaggi lo vedono al primo posto, anche se il centrodestra ha complessivamente numeri più favorevoli. Ma a volte dà l’idea di non voler essere una coalizione. O meglio, di esserlo solo al momento del voto. Poi bisogna governare. Dunque, alzati e cammina.

Non chiediamo certo un miracolo a uno squadrone che quando si mobilita è capace di vincere ovunque. Persino in Emilia Romagna si è “rischiato” il colpaccio, perdendo di misura. E comunque ci fece sorridere chi parlò di sconfitta in un territorio dove finiva spesso 70 e 30 per la sinistra.

Ma bisogna uscire – tutti – dalla logica del freno a mano verso gli alleati. Per dimostrare agli italiani – in troppi ancora non si esprimono nei sondaggi come nelle elezioni regionali e amministrative – che si è autenticamente e unitariamente alternativi alla compagnia di giro che governa l’Italia, occorre fare sul serio.

Perché Matteo Salvini sembra più aspirare alla premiership che alla leadership. Sembra soffrire di solitudine il capo della Lega e fa male a partecipare - anche se con grande trasporto, gli va riconosciuto – ad ogni manifestazione popolare, ma scordandosi puntualmente persino di citare il candidato locale, soprattutto se non è del suo partito. Se ambisci a fare il caposquadra, devi rispettare tuta la squadra. Semplice.

Poi c’è Silvio Berlusconi, che soffre la sindrome del potente nostalgico del tempo che fu. Le sue aziende saranno pure importanti, ai figli ci deve pensare, ma dare continuamente l’idea del dialogo con Conte urta i nervi di non poche persone che gli volevano un bene dell’anima.

E Giorgia Meloni, che vola nei sondaggi addirittura al 18 per cento, ma che come gli altri due amoreggia solo col proprio partito e ingelosisce gli altri due. Del resto, se non si vuole candidare a Roma come sindaco è proprio perché tiene più di tutto alla creatura politica che ha fondato e che guida con indubbio successo.

Ma uno più uno più una rischia di non valere neppure tre se non si dà la forza della speranza al proprio popolo. Che vuole uniti i suoi beniamini.

Che però non basta ancora. E’ il pensiero comune che va costruito, delineare che cosa succederà per davvero appena aperto il portone di Palazzo Chigi.

Merita attenzione, dalle parti della destra, il tentativo di lavorare ad un percorso di condivisione dei valori come patrimonio e minimo denominatore comune. Se ne sta facendo portavoce Adolfo Urso con la sua Fondazione FareFuturo: quel 18 per cento di cui Fdi gode nei pronostici dei maghi dei numeri può rappresentare la base per far nascere il “Partito della Nazione”. Da soli o insieme agli alleati è la decisione da prendere. Anche approfittando di un percorso che sarà lungo perché chi governa non ne vuole sapere di mollare l’osso del potere. Approfittare anche delle condizioni istituzionali avverse, dunque.

L’auspicio è la Grande Riunione, un immenso predellino popolare in grado di mobilitare le passioni che ancora esistono nel territorio. Se i tre campioni del centrodestra lo fanno per davvero, per Conte e compagnia non ci sarà più storia. Basta far prevalere la Nazione sulla fazione. 

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