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Paragone asfalta Conte: gli impegni disattesi sui truffati delle banche e l'Ilva

Giuseppe Conte

Gianluigi Paragone
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C’era una volta uno sconosciuto professore universitario che d’incanto diventò presidente del Consiglio. Si chiamava Giuseppe Conte e non voleva essere chiamato premier ma «avvocato del popolo». Per tal ragione, come primo atto, invitò a Palazzo Chigi le associazioni dei risparmiatori truffati dalle banche e promise loro di realizzare l’impegno elettorale delle due forze che lo sostenevano - M5S e Lega - cioè risarcire e dare conforto a quel tradimento di banchieri senza scrupoli avvenuto sotto lo sguardo ebete dei vertici di Bankitalia.

 

Come storia sarebbe bella poterla raccontare con la chiusura delle favole: ...e vissero felice e contenti. Ma non si può perché in tutto questo tempo ai risparmiatori non è arrivato un solo soldo del risarcimento garantito: c’è sempre una procedura, un cavillo, un intoppo che ne rallenta il semaforo verde. C’è sempre un maledetto muro di gomma davanti. L’avvocato del popolo è troppo impegnato nella sua agenda di incontri coi Potenti e col Sistema per ricordarsi di quella prima promessa restata lettera morta. E per ricevere le associazioni venete che giovedì erano andate a bussare a Palazzo Chigi. Conte e i suoi raccattapalle a Cinquestelle si vergognano e scappano come tanti Toninelli. Si rifugiano dietro le procedure, quelle procedure che - ai tempi dell’opposizione - denunciavano come tradimento a quel risparmio incoraggiato e tutelato dalla Costituzione.

 

Luigi Di Maio, la «sua» donna dei conti Laura Castelli, il bamboccione un po’ presuntuoso e un po’ impacciato Alessio Villarosa, il veneto ministro per i rapporti col parlamento D’Incà, chiacchierano promettono richiacchierano e ripromettono ma non hanno ancora dato l’unica cosa che conta in questa storia: i soldi. E non gli spiccioli come vorrebbe l’altro vice di Gualteri, Pier Paolo Baretta, già trombato alle elezioni politiche e ora in lizza come sindaco di Venezia. Della serie: meglio l’acqua alta di Venezia che lo tsunami del governo. «Ci sono risparmiatori traditi dalle banche che ora non hanno nemmeno i soldi per mangiare e fanno la fila alla Caritas», mi raccontava l’altro giorno Luigi Ugone animatore instancabile di Noi che credevamo nella Popolare di Vicenza. Siccome quelle storie le conosco, al governo prometto una battaglia dura. Seconda storia. C’era una volta lo stesso presidente del Consiglio; il nome era sempre Giuseppe Conte ma senza più l’imbarazzo di presentarsi come avvocato del popolo perché se ti allei col Pd il popolo è un fastidio inutile. Bene, quello stesso presidente il giorno della vigilia di Natale andò a Taranto «per metterci la faccia». E fece anche lì una promessa. Guardò negli occhi i cittadini tarantini come tanto tempo prima fece coi risparmiatori traditi. Anche stavolta però il finale della storia non ripropone il «...e vissero felici e contenti». 

 

Venerdì nel quartiere Tamburi di Taranto i cittadini, come sempre accade da decenni, non sono stati cittadini italiani. È bastato il vento per rialzare le solite polveri maledette, per tornare in un lockdown che qui da decenni vivono senza dpcm. Senza Coronavirus, ma col virus dell’acciaieria. 

«Ilva come Ustica, un muro di gomma sul quale da troppi anni sbattono le vite dei tarantini», è l’incipit della lettera che il presidente della provincia ionica con i sindaci di Taranto, di Statté, di Montemesola, di Crispiano e di Massafra e col presidente della Camera di Commercio di Taranto, hanno scritto al governo. Una lettera dura che così prosegue. «Evidentemente centinaia di migliaia di cittadini di serie B possono essere sacrificati sull’altare di strani giochi finanziari e intese segrete, in barba al tanto decantato new green deal nazionale ed europeo. In queste ore - è l’accusa delle istituzioni - il Governo ha dimostrato tutta la sua debolezza ed ha avviato le sue trattative con ArcelorMittal. Senza il territorio ionico. Senza che, al solito, all’ordine del giorno ci siano i bisogni dei nostri concittadini, dei nostri lavoratori, delle nostre imprese». La chiusura della storia è netta: «La comunità ionica oggi chiude definitivamente la porta a ogni intesa al ribasso con Arcelor Mittal. Indietro non si torna».
 

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