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ZOOM! PiU' POVERI

Premier, ministri e manager impazziti per il lavoro a distanza. Che senza un piano distruggerà Roma e l'Italia

Franco Bechis
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Sostiene il presidente del Consiglio Giuseppe Conte che «Dovremo pensare innanzitutto su misure volte a favorire la rimodulazione dell’orario di lavoro, anche in vista di un ricorso sempre più insistito allo smart working, che è destinato a trasformare tempi, spazi e relazioni di lavoro». La sua ministra della Funzione pubblica, Fabiana Dadone, ha annunciato la proroga del lavoro da casa (“smart working” appunto, o “lavoro agile” come si dice in italiano) dal 31 luglio al prossimo 31 dicembre, aggiungendo che l’intenzione però è «arrivare a regime a garantirlo per il 30% del personale ove sia compatibile con il tipo di mansione che si svolge. Bisogna provare ad entrare nell’ottica di una nuova modalità che si basa sul risultato e non tanto sulla presenza fisica». Anche il sindaco di Roma, Virginia Raggi, è soddisfatta del lavoro agile dei suoi dipendenti comunali ed è intenzionata a prorogarlo e in parte a renderlo stabile.

 

Pare soddisfatto perfino il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, nonostante i peggiori flop dello smart working vengano proprio dal suo istituto. Vogliono continuare a lavorare da casa la maggiore parte dei dipendenti di Bankitalia come stanno facendo ancora oggi almeno in 5 mila di loro. Pensa di usare ancora a lungo questa modalità anche l'amministratore delegato dell'Enel, Francesco Starace e di istituzionalizzarla per una parte del personale dal 2021 in poi. Stesse riflessioni in quasi tutti gli istituti di credito, alle Poste e nella stragrande maggioranza di enti locali ed enti pubblici.
Probabile che migliori la vita di alcuni lavoratori stando a casa. Non proprio di tutti, tanto è che ieri è stata resa pubblica una indagine sulle donne in smart working che sostiene come per loro lavorare da casa si «è rivelata un'ulteriore forma di costrizione fra le mura domestiche, dove si sono trovate a svolgere in contemporanea i ruoli di madri, mogli, lavoratrici e pure insegnanti, a fronte di un tempo di lavoro che si è dilatato fino alle ore notturne per poter garantire la stessa produttività di prima». Si lamentano pure gli avvocati in ogni distretto giudiziario sostenendo che «per primi in Italia ci eravamo attrezzati per svolgere udienze online, cercando di favorire il distanziamento sociale, ma anche questa strada è risultata di difficile percorribilità». Nella pubblica amministrazione non è che i servizi al cittadino già scadenti siano migliorati. Tanto è che il giuslavorista Pietro Ichino ha scritto sulla materia una sarcastica lettera aperta alla ministra Dadone sostenendo: «Il dato da lei riportato secondo cui "il 90% nelle amministrazioni centrali, oltre il 70% nelle Regioni" sarebbero stati attivati in forma di smart working significa pochissimo, se è vero che questa modalità di lavoro è stata dichiarata dalle amministrazioni senza alcun controllo, soltanto per giustificare il mantenimento dello stipendio pieno di tutti dipendenti senza distinzioni».
Critico anche un senatore di lungo corso come il forzista, Maurizio Gasparri: «I sindacati aprano gli occhi. Scoprendo che molti dipendenti stando a casa sono inutili, si potrebbe aprire una stagione di licenziamenti. Quindi per difendere il lavoro riattiviamo uffici e città».
Ecco, proprio quest’ultima osservazione di Gasparri mi sembra che faccia centro. Oggi abbiamo una classe dirigente che si bea di slogan vuoti ed è incapace di elaborare progetti. Lo smart working è uno slogan che significa davvero poco. La realtà è che facendone largo uso e lavorando allegramente in Zoom (l’applicazione che molte scuole utilizzano per il lavoro a distanza) il Pil italiano è crollato nel primo trimestre 2020 del 5,4%, ed è stato il peggiore nella Ue. Sempre a marzo la produzione industriale italiana è crollata del 29,4%, ed è stato il peggiore risultato in Europa davanti al Lussemburgo (-21%). Ad aprile il dato è crollato del 42,5% rispetto all'anno precedente ed è stato il peggiore risultato europeo in attesa di quello del Lussemburgo che non è ancora ufficiale. Le statistiche Eurostat dicono quindi una cosa semplice: facendo lavorare molta gente da casa l’Italia e gli italiani sono diventati più poveri degli altri. Continuando su questa strada la povertà aumenterà. E si capisce bene perché: lavorando a casa gli italiani consumano meno. Ma c’è un problema più grande, che averebbe richiesto piani governativi approfonditi: il lavoro a distanza cambia il volto e l’economia di molte città. Pensate a Roma. Ci sono 407.141 dipendenti pubblici. Se si segue l’idea della Dadone di questi una piccola città – 120 mila (il 30%)- sarà strutturalmente in smart working. Significa che non si recherà nei posti dove lavorava. Non consumerà nemmeno un caffè nei bar dei dintorni, non pranzerà lì con i buoni pasto, non farà acquisti nei negozi dei dintorni. Forse qualcosina di più vicino a casa, ma non è detto. Magari cambierà casa, perché non sarà più necessario vivere a una certa distanza dall'ufficio. Magari tornerà nei paesi da cui proveniva, perché si vive meglio e il costo della vita è più basso. Lo farà anche chi è nato e cresciuto a Roma. I loro figli lasceranno le scuole che frequentavano e se piccoli non andranno all'asilo, perché con uno dei due genitori che lavora da casa sarà una spesa risparmiabile, sia pure con fatica. Se non si mettono i migliori cervelli del paese a ridisegnare le città e i servizi sul lavoro a distanza, la sola cosa che provocheranno gli sloganisti al governo sarà la decrescita dell’intero paese e la distruzione della capitale. Forse è proprio questo il loro scopo.
 

 

 

 

 

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