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Disgustati generali

Giuseppe Conte

Dopo nove giorni di fuffa, la passerella del premier termina in un tripudio di vip, cantanti e solenni promesse. Ora si potrebbe mettere a lavorare?

Marco Gorra
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Quando spuntò fuori il memoriale Moro, Cuore fece una delle copertine più belle di sempre. Occhiello: «Cinquecento pagine per dire che la Dc fa schifo»; titolo: «Bastava una cartolina». Ecco, a vedere la conclusione della maratona di fuffa messa in piedi da Giuseppe Conte con la pomposa denominazione di «Stati generali» e a constatare lo scarto tra la vastità degli annunci e la modestia dei risultati concreti, veniva da pensare che, in luogo del mega-evento spalmato su nove giorni nove, la citata cartolina sarebbe probabilmente bastata e avanzata. Ma tant’è. Passerella doveva essere e passerella è stata. Culminata nel gran finale di ieri, coi vip e i cantanti e gli attori e la bellezza e la resilienza e il genio italico e gli alberi da piantare e tutta la panoplia di bubbole altisonanti che è obbligatorio declamare in situazioni del genere.

 

Un successone secondo i diretti interessati, assai meno secondo chiunque altro. Perché, stringi stringi, questi benedetti stati generali non è che abbiano prodotto granché: una impressionante sequela di faremo e vedremo e valuteremo, nulla di più. Il che, in un contesto di emergenza mai vista prima dove l’unico imperativo è fare in fretta, non è esattamente il miglior viatico. Si dirà che almeno sono coerenti: lenti e inefficaci in tutto ciò che esulasse dal parlarsi addosso sono sempre stati finora, e tali si sono confermati anche sotto le austere volte di Villa Pamphili. Soddisfazione modesta, ma il convento questo passa. Di buono c’è che almeno è finita. E che c’è l’occasione per provare a fare qualcosa di concreto per dare una mano a un Paese che finora ha tirato avanti nonostante il governo, non grazie ad esso. Di tempo se n’è perso più che abbastanza.

 

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