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Banche e aiuti di Stato, l'Europa parta da qui

 Ignazio Visco

Angelo De Mattia
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Vedremo nei prossimi giorni quale sarà il primo responso della Vigilanza della Bce alla decisione della Dolfin di Leonardo Del Vecchio di portare la partecipazione in Mediobanca da circa il 10% al 20, che la Repubblica di ieri definisce un «assalto», pur trattandosi di un’iniziativa da tempo in cantiere e che prima di ritenere quasi come l’operazione di un raider che improvvisamente si lancia alla conquista con fini speculativi di un istituto di credito andrebbe analizzata molto attentamente, soprattutto per escludere che si tratti dell’azione fisiologica dell’attuale primo socio dell’istituto di Piazzetta Cuccia, dotato di enormi risorse finanziarie. Un’esclusione niente affatto facile.

Torneremo sull’argomento, ma esso già ora offre lo spunto per sottolineare, agganciandoci alle recentissime «Considerazioni Finali» del Governatore di Bankitalia, che la struttura e l’assetto proprietario del settore bancario italiano meritano un doveroso approfondimento, innanzitutto con riferimento ai temi delle aggregazioni e delle concentrazioni all’ordine del giorno dopo la vicenda Intesa-UbiBanca. E ciò, naturalmente, sapendo bene che la competenza primaria nella materia è della Vigilanza accentrata, ma a essa concorrono, con poteri di analisi e valutazioni in prima battuta e con proposte, le Vigilanze nazionali. In effetti, non può non concordarsi con il giudizio del Governatore. Se si corrisponde pienamente agli obblighi della sana e prudente gestione e della stabilità, se iniziative della specie si svolgono nella trasparenza e nella correttezza, se la direzione dell’istituto è affidata a persone che abbiano i requisiti dell’esperienza, della professionalità e dell’onorabilità, nonché dell’idoneità, è difficile, poi, non applicare il detto dello stesso nume di Mediobanca, Enrico Cuccia, spesso ripetuto che suona così «vige il titolo quinto chi ha i soldi ha vinto».

 

 

 

Per tornare alle «Considerazioni finali», non si può mettere in dubbio che l’Ue possa costituire una risorsa fondamentale per i suoi cittadini, come Visco ha sostenuto. Ma, a fronte delle opportunità che ora si prospettano - da ultimo, con il «Next Generation Eu» tutto ancora, però, da approfondire - occorre convenire che anche l’Unione deve avviare una serie di riforme che interessino la sua architettura istituzionale e le sue funzioni; non è sufficiente concentrarsi solo sull’avanzamento del processo di integrazione pur fondamentale. Innanzitutto, bisogna cominciare a prospettare sin d’ora cosa ne sarà del Patto di stabilità e crescita nonché della normativa sugli aiuti di Stato, dopo che, nel primo caso, con l’attivazione della clausola di salvaguardia generale, come ricordano le «Considerazioni», si sono consentite temporanee deviazioni dagli obiettivi di finanza pubblica e, nel secondo caso, è stata di fatto sospesa la disciplina dei suddetti aiuti.

Già la presidente della Bce, Christine Lagarde, ritiene che il Patto in questione debba essere riformato. Qual è al riguardo la posizione del Governo italiano? E in materia bancaria non vi sono soltanto le carenze e gli errori della normativa sulla gestione delle crisi bancarie, a proposito delle quali il Governatore ipotizza anche il ricorso a nuovi strumenti che agiscano in via preventiva per banche che siano venute a trovarsi in serie difficoltà - e uno di questi strumenti potrebbe essere la costituzione di una «bad bank» europea - e neppure sono ovviamente esaustive le misure adottate dalla Vigilanza per concorrere a fronteggiare la crisi pandemica in termini di liquidità, patrimonio e distribuzione dei dividendi. Occorre riesaminare il funzionamento della Supervisione accentrata, i suoi rapporti con la politica monetaria e le relazioni con le Vigilanze nazionali perché rispettino il principio di sussidiarietà, nonché operare perché non si continui a stare come nella condizione di chi non è più, ma al tempo stesso non è ancora. Dell’Unione bancaria è stato attuato soltanto l’accentramento della supervisione, ma tuttora restano inattuati gli impegni per un’adeguata dotazione del fondo di risoluzione e, soprattutto, per l’introduzione dell’assicurazione europea dei depositi. Segnali concreti in questa direzione sono fondamentali a maggior ragione se si teme, come nelle «Considerazioni», che nel medio periodo, malgrado i progressi conseguiti negli ultimi anni dal settore bancario, la profondità della recessione non potrà non avere effetti sui bilanci degli istituti che sicuramente sarebbero traslati. È senz’altro importante sollecitare le banche perché innovino nell’organizzazione, nelle strutture, nell’operatività con la clientela e nella governance; perché colgano l’opportunità dell’impiego delle nuove tecnologie e dell’intelligenza artificiale quale poderosa leva per concepire il lavoro bancario, mai dimenticando, però, la crucialità del capitale umano. Ma non è sufficiente se non si affrontano pure i temi e i problemi dei «rami alti». Lo constatiamo spesso riflettendo su decisioni della vigilanza accentrata, ma anche su scelte del Governo, quale quella riguardante la prestazione di garanzie pubbliche sui prestiti fino a 25 mila euro (misura che potrebbe essere elevata a 30 mila euro secondo un emendamento al decreto liquidità approvato alla Camera), senza darsi carico della vigenza o no dell’autonoma valutazione del merito di credito, problema segnalato «ab origine» da chi scrive, ora autorevolmente confermato dal Governatore che ha sottolineato i rischi, in assenza di espresse previsioni normative (evidentemente di deroga), di commettere reati soprassedendo a tale valutazione.
Nuove misure sono state introdotte in sede di conversione. Bisognerà approfondirne la definitiva efficacia. Insomma, l’Italia deve riformarsi negli ordinamenti, nelle politiche, nel modo di affrontare le debolezze strutturali che qualche volta, come dice Visco, non vogliamo vedere. Deve farlo con urgenza, non fermandosi a un ottimismo retorico. Il «sapere di non sapere», sottolineato nelle «Considerazioni» per testimoniare le incertezze incombenti, fondamento della filosofia di Socrate e non certo limitato alle previsioni, era il modo per stimolare ancor più la conoscenza, la voglia di sapere. Questa non può oggi non cimentarsi anche con ciò che spetta fare all’Unione, con le riforme che pure essa - sia pure di altra, ben diversa portata rispetto a quelle necessarie per l’Italia - deve promuovere, insieme con un riesame delle stesse funzioni di Vigilanza europea. L’auspicato «patto sociale» sarebbe monco se mancasse l’intento di agire in sede europea per le necessarie revisioni.
 

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