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Gli 007 e Giuseppe Conte sapevano del raid Usa che ha ucciso Soleimani

Francesca Musacchio
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I servizi segreti italiani sapevano dello «strike» Usa che ha ucciso in Iraq Qassem Soleimani. E anche il premier Giuseppe Conte sarebbe stato informato. Fonti vicine a Palazzo Chigi non hanno dubbi: la notizia di una vicenda come quella accaduta non poteva non essere arrivata ai nostri apparati di sicurezza e, di conseguenza, la comunicazione sarebbe arrivata a Conte che ha anche tenuto per sé la delega ai servizi segreti. Del resto, l'intenzione di Cia e Mossad di eliminare il generale iracheno era nota sia negli ambienti delle intelligence sia occidentali che mediorientali. Dal 2018 la notizia di un accordo tra i due potenti servizi segreti è rimbalzata anche su alcuni organi di stampa internazionale che hanno riferito proprio di un patto per arrivare all'obiettivo comune. Per approfondire leggi anche: L'Iran fuori dagli accordi sul nucleare. E mette una taglia su Trump La decisione di Donald Trump, dunque, non sarebbe stata improvvisa, ma il frutto di una pianificazione che gli apparati di sicurezza in qualche modo conoscevano. E a riprova che Soleimani fosse un obiettivo, il capo degli Hezbollah, il libanese Seyed Hassan Nasrallah, ieri ha riferito alcuni dettagli dell'ultimo incontro avuto con il generale. Una settimana prima dello «strike» a Baghdad, infatti, i due si sarebbero incontrati a Beirut e Nasrallah gli avrebbe detto che «sui media americani si parlava di lui» avvertendolo che quello era «un avviso di pericolo per il suo assassinio»”. C'era da aspettarselo, quindi, e i nostri servizi segreti non sarebbero rimasti sorpresi nell'apprendere che il piano concordato dai colleghi di Cia e Mossad è andato a buon fine. Probabilmente, però, ciò che Conte ignorava era il «quando e come» dell'operazione, sottolineano ancora le fonti. Anche se nelle basi di Iraq, Libano e Afghanistan pare fosse in vigore l'allarme «Charlie». Le conseguenze di quanto accaduto in Iraq, però, sono molto ampie e non riguardano solo l'ipotesi di una guerra tra Stati Uniti e Iran. A partire dalle missioni dei soldati italiani nell'area, infatti, l'Italia potrebbe subire i contraccolpi di una crisi non gestita diplomaticamente dall'Italia. Il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, subito dopo l'uccisione del generale iracheno ha escluso il disimpegno nelle missioni italiane all'estero disponendo l'innalzamento delle misure di sicurezza nelle basi. Iraq, Libano e Kuwait sono al momento le missioni italiane più a rischio. Ma il ritiro dall'Iraq, se mai dovesse avvenire, potrebbe non essere legato ad una decisione del governo italiano. Per Guerini «sarà la coalizione, con tutti i suoi componenti, a determinarne gli sviluppi, nel quadro dei contatti sempre frequenti fra gli Stati Maggiori della Difesa dei Paesi Membri che ad oggi ha portato alla sospensione temporanea delle attività addestrative». Ma ieri, il Parlamento iracheno ha approvato una risoluzione che prevede l'espulsione delle truppe straniere dal territorio nazionale come conseguenza del raid che ha ucciso il potente generale Qassem Soleimani.

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