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Mattarella firma la legge ma scrive alle Camere: "La sicurezza è compito dello Stato"

Il Presidente della Repubblica mette i paletti al provvedimento

Carlo Antini
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La legge sulla legittima difesa contiene delle criticità che la Consulta eventualmente valuterà. Sergio Mattarella si è preso tutto il tempo che aveva a disposizione, mettendo nero su bianco tutte le perplessità emerse durante l'esame del provvedimento nel suo passaggio al Quirinale. Un atto che il capo dello Stato ha già adottato altre tre volte durante questa legislatura con il decreto legge sicurezza, con la manovra e ultimamente con la legge per l' istituzione della Commissione sulle banche. Osservazioni che evidenziano alcuni profili di incostituzionalità su cui Mattarella sembra quasi invitare esecutivo e Parlamento a porre rimedio, in caso contrario, si legge tra le righe della lettera, sarà la Corte Costituzionale a vagliarli in caso di ricorsi. A quasi un mese dal via libera del Parlamento, il provvedimento bandiera della Lega riceve quindi anche l'ok definitivo del Colle, che accompagna la firma con una lettera di osservazioni indirizzate non solo al premier Giuseppe Conte ma anche ai titolari di Camera e Senato, Roberto Fico e Elisabetta Alberti Casellati. Il capo dello Stato nella missiva prima di tutto spiega come la nuova normativa «non indebolisce né attenua la primaria ed esclusiva responsabilità dello Stato nella tutela della incolumità e della sicurezza dei cittadini, esercitata e assicurata attraverso l'azione generosa ed efficace delle Forze di Polizia». In sintesi la legge sulla legittima difesa, prevista dal Codice Rocco e ancora vigente, prevede la condizione di 'necessità' che non può essere abolita dalla nuova legge perché sarebbe contraria ai principi costituzionali. Insomma perché la difesa sia legittima, deve continuare a sussistere l'urgenza di difendersi da un pericolo attuale (ossia in atto, contemporaneo) di un'offesa ingiusta. Altro punto su cui Mattarella esprime le sue preoccupazioni è il contenuto dell'articolo 2 della legge, quando si parla di grave turbamento. «È evidente - scrive l'inquilino del Colle - che la nuova normativa presuppone, in senso conforme alla Costituzione, una portata obiettiva del grave turbamento e che questo sia effettivamente determinato dalla concreta situazione in cui si manifesta». In altre parole il concetto di "grave turbamento" non può essere invocato "soggettivamente" da chi ha sparato, bisogna invece che questo stato sia riconosciuto oggettivamente. Infine ci sono due «errori materiali» che vengono messi in evidenza dal capo dello Stato: alcune garanzie fornite dalla legge per chi si è avvalso della legittima difesa non vengono estese al di fuori del domicilio (per esempio se si viene aggrediti per strada) né al reato di rapina (che è ben più grave di quello di furto o di scippo). Alert che sembrano scivolare addosso al ministro dell'Interno Matteo Salvini, il quale registra - esultando - solo il risultato: «Io ascolto con interesse estremo i rilievi del capo dello Stato, ma la legittima difesa è legge dello Stato e i rapinatori da oggi sanno che se entrano in una casa, un italiano può difendersi senza rischiare di passare anni davanti a un tribunale in Italia». Tornano invece a criticare la legge sia le Camere penali che l'Anm. L'interpretazione del capo dello Stato, spiega il presidente dell'Ucpi Giandomenico Caiazza, «vanifica l'intero impianto normativo e ne dimostra la vuota natura propagandistica». All'attacco anche l'Associazione nazionale magistrati: «Nella concreta applicazione, se emergeranno dubbi di costituzionalità, saranno sottoposti al vaglio della Corte Costituzionale» avverte Pasquale Grasso.

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