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Alla vigilia del Def è ancora rissa sulla Flat tax

Di Maio chiede una riforma "progressiva". Salvini furioso: "Sarebbe insensato"

Silvia Sfregola
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Siamo alle ultime limature al Documento di economia e finanze, e il nodo della flat tax non sembra ancora sciolto. Il testo è stato al centro di un vertice a Palazzo Chigi, e lo sarà ancora. Ad una prima riunione, assieme al ministro dell'Economia Giovanni Tria, hanno partecipato il responsabile dei Rapporti con il Parlamento, Riccardo Fraccaro (M5S) e i sottosegretari Massimo Garavaglia e Massimo Bitonci (Lega). Gli esponenti del Carroccio spingono affinché si inserisca un chiaro riferimento ad una riforma del fisco con aliquote più basse, che sarebbero certo molto apprezzate dall'elettorato leghista. Il leader pentastellato Luigi Di Maio, non presente all'incontro, apre all'idea, ma chiede gradualità. Certo, Di Maio riconosce che il contratto parla di Flat Tax, ma essa andrebbe accompagnata da «un principio di proporzionalità per fare in modo che il beneficio stesso sia distribuito con criterio vero le famiglie e il ceto medio». Il numero uno del Carroccio, Matteo Salvini, da Milano ribatte che «non esiste una flat tax progressiva», e il principio di proporzionalità proprio non lo può accettare, perché «l'idea rivoluzionaria della tassa piatta - prosegue Salvini - è che è unica, piatta e uguale». Insomma, per il Carroccio bisogna mettere un primo mattone per la riduzione fiscale, a vantaggio soprattutto delle famiglie, visto che nel 2018 si è puntato sulle partite Iva. Il premier Giuseppe Conte, anche in questo caso, assume il ruolo di mediatore tra le due parti: ricorda che la misura è nel contratto di governo, prevista «con delle modalità specifiche», e «Salvini non è l'unico a spingere per averla, lo fa tutto il governo». Conte ricorda di aver preso l'impegno di introdurla, in prima persona, sottolineando però «che si tratta di un pezzo della riforma fiscale e, per realizzarla nella sua interessa, occorre tempo». La posizione del premier è in linea con il titolare dell'Economia, il quale ha già fatto capire che per rivoluzionare le aliquote ci vorrà tempo. Il «padre» della Flat Tax, il sottosegretario alle Infrastrutture Armando Siri, ha consegnato allo stesso Tria un progetto per un aliquota al 15% fino a 50mila euro di reddito. Si tratterebbe di un messaggio, simile a quello per le partite Iva, che ora hanno il 15% sotto i 65mila euro. «Questa riforma non va vista come un centro di costo, ma come un'opportunità di crescita», sottolinea il leghista, che nella riforma fiscale vede «l'unica leva disponibile per dare impulso ai consumi, alla produzione e al lavoro». Il mancato gettito, però, potrebbe essere di 12 o 13 miliardi di euro annui, e va in qualche modo coperto, soprattutto per un'economia boccheggiante come quella italiana, che ha tutta una serie di clausole che bloccano la spesa e farebbero scattare l'Iva. Siri, da parte sua, spiega che valorizzando il patrimonio immobiliare pubblico si avrebbe un controvalore di 400 miliardi di euro. Queste stime non convincono le opposizioni. Francesco Boccia del Pd parla di un tentativo maldestro di nascondere la verità sui conti pubblici. Da una parte, per Boccia, c'è «la propaganda continua sulla flat tax, le cui coperture sono irrealizzabili in un bilancio che prevede già l'aumento dell'Iva al 25,2% dal 2020». Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria, non chiude all'idea, ma sottolinea che essa difficilmente aiuterà la sua categoria, quella dei produttori, toccando invece le famiglie. «Da tempo - spiega Boccia - stiamo dicendo che la prima flat tax dovrebbe essere la riduzione del cuneo fiscale, a favore dei lavoratori».

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