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Casa Scajola al Colosseo, la procura ricorre in appello

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Scajola

Il 27 gennaio giudice monocratico aveva assolto ex ministro

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Per la vicenda dell'immobile di via del Fagutale l'ex ministro Claudio Scajola assolto il 27 gennaio scorso dall'accusa di finanziamento illecito di un deputato dovrà tornare davanti ai giudici, la Procura della Repubblica ha infatti impugnato la sentenza con la quale aveva assolto l'ex ministro dello Sviluppo economico per insussistenza del fatto contestato. Insieme con Scajola tornerà sul banco degli imputati anche l'imprenditore Diego Anemone accusato di concorso nello stesso reato. A conclusione del processo di primo grado l'imprenditore che secondo l'accusa avrebbe contribuito con 1 milione e 100mila euro all'acquisto dell'immobile ha goduto della prescrizione. In un documento di sette pagine il procuratore aggiunto Francesco Caporale e i sostituti Ilaria Calò e Roberto Felici contestano il ragionamento fatto dal giudice monocratico Eleonora Santolini sottolineando che a loro giudizio «non sono condivisibili nè in fatto nè in diritto le argomentazioni. Di conseguenza la motivazione appare viziata da illogicità e travisamento del fatto». Durante il dibattimento l'ex ministro Scajola ha sempre sostenuto che la modalità di acquisto dell'appartamento era avvenuto «a mia insaputa». Ma secondo la Procura della Repubblica il giudice ha dato delle dichiarazioni di Scajola una lettura «superficiale ed acritica, essendo modellata sulla configurazione nemmeno paragonabile ad un uomo medio ma piuttosto ad uno sprovveduto in balia degli eventi». I magistrati che hanno firmato il ricorso, invece, definiscono Scajola «indiscutibilmente uomo politico di grande esperienza che ricopriva al momento del fatto un incarico di vertice ai massimi livelli istituzionali». Questo ruolo «sarebbe stato incompatibile con eccezionale ingenuità e straordinaria mancanza di accortezza, consapevolezza, e senso della realtà delineate dal giudice nel tratteggiare la figura del parlamentare quale beneficiario inconsapevole di una somma della portata di 1 milione e 100mila euro». Nel corso del processo era emerso anche che Scajola ha sostenuto la tesi di non essere stato presente nel momento in cui venne fatto il rogito per l'acquisto dell'appartamento. Ma ora i ricorrenti sostengono che «non sussiste alcuna plausibile ragione, neanche si trattasse del più importante uomo di Stato per cui l'acquirente di un immobile di ingente valore non debba presenziare alla stipulazione dell'atto pubblico in tutte le sue fasi. La circostanza dell'eventuale assenza voluta da Scajola avrebbe dovuto essere considerata dal giudice non già come prova della sua ritenuta inconsapevolezza bensì l'esatto contrario cioè come prova della sua malizia». Nel ricorso ancora si legge: «Tale manovra diversiva non può altrimenti giustificarsi se non come estrinsecazione della volontà di precostituirsi la prova di una presunta inconsapevolezza di ciò che stava accadendo».

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