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«La vedova Kappler sepolta in segreto»

Annielise è morta a 88 anni. Il figlio: «Ma non dirò mai dov'è la sua tomba»

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In una mattinata di piena estate se n'è andata in silenzio, nella sua stanzetta al terzo piano dell'Ospizio Charitas «San Bardo» di Friedberg, nella regione dell'Assia, dove era ricoverata da sette anni e, per motivi di sicurezza, registrata solo con il suo cognome da nubile: Wenger, e non quello del marito, Kappler. A 88 anni è stata stroncata da un infarto. La notizia è stata volutamente ignorata dalla stampa tedesca, per non rivangare una vecchia ed imbarazzante storia col popolo italiano. Anche i figli della Kappler hanno evitato, fino ad oggi, di rivelare la morte della madre, tanto che il suo funerale ha visto la partecipazione di appena sette amici. Nessuna manifestazione politica, solo un fascio di rose bianche sul feretro, che, dopo una breve cerimonia religiosa nella cappella dell'ospizio, è stato subito trasportato e inumato in una località segreta nel nord della Germania, dove Annielise Kappler aveva lavorato a lungo come fisioterapista, prima di legarsi al colonnello nazista. Nell'armadietto della sua stanza conservava molti ricordi e forse anche importanti documenti, quali la corrispondenza intercorsa con diversi politici italiani e il Vaticano, durante la detenzione dell'ufficiale nel carcere militare di Gaeta e poi durante il ricovero all'ospedale militare del Celio. Nell'antica fortezza borbonica che vide la prigionia di Giuseppe Mazzini, Kappler e la Wenger (entrambi divorziati) si sposarono il 25 marzo del '72, alla presenza del sindaco di Gaeta Damiano Uttaro e degli avvocati Celebrano e Cuttica, difensori del colonnello. Altro testimone, il maggiore Walter Reder, anch'egli detenuto come criminale di guerra nello stesso carcere, per le stragi di Marzabotto e Sant'Anna di Stazzema. Di quel matrimonio tra le sbarre, Annielise Kappler conservava accuratamente un'unica foto. Pochi giorni dopo la sua morte, due solerti «facchini»(?), prudentemente hanno portato assieme agli effetti personali, tutto quanto poteva essere eventualmente motivo di ulteriori polemiche politiche. Sul letto disfatto, sono rimasti una foto della scomparsa e un mazzo di fiori campestri. Erano i giorni in cui, a Roma, già si profilavano le proteste per l'annunciata celebrazione dei cent'anni di Priebke e la famiglia della signora Kappler ha pensato bene di non divulgare la notizia della sua morte, in modo da tenere nascosto anche l'ultimo saluto a colei che, in Italia, aveva fatto evadere il marito, uno tra i più noti criminali di guerra. Con la sepoltura della protagonista di quell'imbarazzante vicenda, adesso, chiedono che cali per sempre il silenzio su quella brutta storia, che al figlio e alla figlia di Frau Kappler ha provocato già abbastanza problemi. Oggi, Eckehard Walther, telefonicamente, mi conferma la notizia della morte di Frau Kappler: «Ho seppellito mia madre in un luogo segreto, evitando che qualcuno possa profanare la sua tomba, com'è accaduto a quella del mio patrigno, nel cimitero di Soltau - spiega - Difatti, per anni, gli hanno fatto dispetti di ogni sorta. Venivano persino a fare i bisogni intorno alla pietra tombale. Allora, dov'era sepolto il mio patrigno, abbiamo spianato quel pezzo di terra e seminato un prato verde, dove un tempo avevamo sistemato una semplice lapide con il nome di Herbert Kappler, data di nascita e morte. Nient'altro, nessun simbolo, nessuna foto, perché negli ultimi tempi si erano accaniti in modo straordinario, tipico esempio di un odio che non si estingue. Quella pietra, oggi, la custodisco accuratamente nel giardino della mia casa, lontana dal cimitero di Soltau. Con la morte di mia madre, chiediamo di lasciarci in pace e dimenticare questa vicenda, che ha fatto tanto male anche a noi». Un gesto incivile, certamente. Però, con i crimini commessi dal suo patrigno, cosa si aspettava, che gli erigessero un monumento? «No, ma ci aspettavamo un doveroso rispetto civile per una tomba, dopo tanti anni dalla morte. Io so che è difficile crederlo, ma posso giurare che da quando riuscì a tornare in Germania - continua Walther - ci ha sempre confidato il suo pieno pentimento per quella decisione che fu obbligato a prendere. Un trauma che non ha mai superato. Poco prima di morire, mi disse che, se un giorno mi fossi trovato a fronteggiare una situazione come la sua, quando ci fu la strage delle Fosse Ardeatine, non avrei mai dovuto accettare, altrimenti ne avrei portato, come lui, il peso per il resto della mia vita...». Eckehard Walter, dopo le clamorose proteste, scoppiate a Roma alla morte del nazista Priebke, non senza riluttanza, ha accettato questa intervista «esclusiva» per Il Tempo, dalla sua casa, in una località della Germania che chiede di mantenere segreta. Come documentato da alcune foto, in un angolo del prato, effettivamente, ha sistemato la lapide, portata via di notte dal cimitero di Soltau, affinché non rimanesse più traccia del luogo dove era sepolto Kappler, morto il 9 febbraio del 1978. Gli diciamo che è veramente difficile credere che il colonnello si sia pentito di tutti quei crimini. I familiari delle sue tantissime vittime, cristiani ed ebrei, hanno il diritto di dubitare di quanto Lei mi sta raccontando...Se realmente era pentito per quello di cui era pienamente responsabile, allora, perché non ha mai chiesto perdono alle famiglie di quei martiri innocenti e particolarmente, alla Comunità Ebraica di Roma? «Per il semplice motivo - replica lui - che non avrebbero mai creduto al suo pentimento e quindi non gli avrebbero mai accordato il loro perdono».

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