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Un match entrato nella storia della tv

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Record Silvio da Santoro ha avuto quasi 9 milioni di spettatori

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L'haavuta nell'attesa, lo stillicidio degli annunci del Cavaliere che, da dicembre, fa circolare l'annuncio (come la gravidanza di Maria) da un talk all'altro: «Andrò da Santoro e incontrerò pure Marco Travaglio». L'ha avuta nella fruizione, con gruppi di ascolto ad organizzarsi in un rito collettivo da celebrare in case-comunità, sacro e per questo cerimoniale. L'ha avuta nella differenza: gli eventi dei media che segnano la storia della televisione si differenziano dalla programmazione ordinaria e dagli altri generi perché non sono routine. Siamo nello straordinario, che non significa necessariamente piacevole, ma comunque un fuor di norma. In tv il rito che fuoriesce dal palinsesto quotidiano diventa festivo, una messa in scena che sospende le altre. La programmazione regolare è sospesa - giovedì, per esempio, Canale 5 ha cambiato la prima serata in concomitanza con Berlusconi ospite di Santoro - per lasciare il campo alla cerimonia. Di solito questa eccezionalità mediale è esogena, si consuma cioè al di fuori degli studi televisivi, vedi - solo per citare alcuni esempi - il matrimonio di Carlo e Diana o la visita di Papa Wojtyla in Polonia. Nel caso di Berlusconi da Santoro è stata invece endogena, interna, consumata in uno studio di Cinecittà ma con una storia, un racconto che la precedeva e la inverava. La puntata di Servizio Pubblico di giovedì sera, che ha segnato il record di tutti i tempi per La7, 33,58% di share e 8 milioni 670mila spettatori fissi (di gran lunga la prima rete nel prime time) e il miglior score nei programmi di sempre dello stesso Santoro (compresi quelli in Rai), con il pubblico incollato al televisore anche nei break pubblicitari, non era - come hanno scritto alcuni critici - un talk show. Era un racconto, dai tratti melodrammatici, ironici, incalzanti, tesi, che segnava il ritorno di un politico, ospite nella casa di giornalisti mai indulgenti con lui, uno dei quali lo stesso politico aveva colpito, nel 2002, con un editto, aggettivato come bulgaro. Berlusconi, andando da Santoro giovedì scorso, ha ammesso l'errore di quell'editto, tornando al suo spirito liberale del 1994, al suo talento migliore, quello di imprenditore che si è inventato le tv commerciali ampliando (e non riducendo) le libertà degli italiani. Riconoscendo in Santoro - come ha ripetuto ieri - un «eccellente professionista» Berlusconi, seppure in differita di dieci anni ha ammesso uno sbaglio. Questa metastoria, per nulla banale e reale, era lì, sul palcoscenico ed il pubblico se n'è accorto. È stato un momento di celebrazione della comunicazione di massa. Chi - e sono tanti di questi tempi - parla di crisi dei talk show, genere che si vuole moribondo, non si accorge - come Curzio Maltese su Repubblica di ieri - di sbagliare semantica ed analisi perché l'approccio alla tv deve essere laico - e basato sui dati - perché laico è il mezzo, anche se a volte celebra messe. Berlusconi, leader classe 1936, nello studio di Servizio Pubblico è stato guerriero. Lo aveva annunciato e lo è stato. Nella mimica, nella concentrazione, nei gesti, in quella spolverata alla sedia, degna del miglior Alberto Sordi dopo che vi si era seduto Marco Travaglio, nel gioco con il pubblico e con le giornaliste Luisella Costamagna e Giulia Innocenzi assise di fronte a lui, a far domande. Nella lettera a Travaglio letta dal Cavaliere si è toccata forse la parte più hard - nel senso dei toni - della serata; un climax seguito da oltre il 51% di share, il che vuol dire più di uno spettatore su due di quelli davanti al video. Franklin D. Roosevelt, presidente degli Stati Uniti, una volta ebbe a dire: «Se ricominciassi la mia vita, penso che mi piacerebbe far carriera in pubblicità». Chissà, forse Berlusconi che ha quasi avuto il percorso inverso - dalla televisione arrivando alla politica - segna in questo il contrappasso dei tempi che viviamo. Certo è che Servizio Pubblico di giovedì si è consegnato a record assoluti, pure su Twitter e sui social network, sempre più convergenti, nei programmi-evento, con la misurazione dell'auditel. Lo hanno pure criticato Santoro, su Twitter, ma questo fa parte del gioco e conferma la natura totalizzante dell'evento. Una storia vera ed italiana, altro che talk. Italiana, come quella - in fondo - di Beppe Grillo, il comico a 5 stelle che forse si sta accorgendo - vedere sua iniziativa di ieri davanti al Viminale dove è arrivato in anticipo, di buon mattino, per depositare il simbolo - che farsi inseguire dalla tv in tempi di elezioni in cui tutti i leader si affacciano in video, potrebbe non bastar più a fare breccia nei telespettatori (anche elettori). Ed allora perché no? Magari dopo l'evento Berlusconi da Santoro, l'altro grande appuntamento mediale potrebbe diventare il ritorno di Grillo ospite (e non interpellato dentro servizi chiusi o ripreso) in uno studio televisivo. La straordinarietà paga e invita all'agonismo necessario. Intervistato nel 1981, da Sorrisi & canzoni, l'allora imprenditore televisivo Silvio Berlusconi, alla domanda del perché trasmettesse molto sport sui suoi canali, rispose: «La gente sta diventando anche psicologicamente troppo sedentaria. Vediamo di stimolarla all'agonismo. Non crede che questa può essere una risposta all'aggressività che cova negli animi?». E le elezioni politiche, in fondo, richiedono sempre una dose di sano agonismo.

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