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Addio.

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WalterVeltroni saluta e se ne va. Lascia la Camera con l'ultimo discorso prima dell'approvazione della legge di stabilità, quella che ieri ha chiuso l'esperienza del governo dei tecnici. «Yes he can», parafrasando Barack Obama, uno degli uomini del pantheon personale dell'ex sindaco di Roma. «Yes he can» perché è stato uno dei pochissimi nel Pd – ma praticamente in tutto il panorama del Parlamento – ad annunciare che non si ricandiderà. Insieme a Massimo D'Alema, che infatti è stato il primo ad andare a stringergli la mano, mentre Gianfranco Fini, che presiedeva l'aula, gli ha mandato un biglietto, al termine del suo intervento applaudito per alcuni minuti. Con i deputati del Pd tutti in piedi per salutarlo. Saluti, abbracci, baci, che si sono prolungati nei corridoi del Transatlantico e poi con i commessi, con i camerieri del bar. E che si sono incrociati con i saluti di fine legislatura tra i deputati al loro ultimo giorno «di scuola». Monti è salito al Quirinale per dimettersi, da ieri Camera e Senato saranno convocati «a domicilio», come è apparso sui display di palazzo Madama e Montecitorio. Sei legislature, un incarico da vicepremier con Prodi, sette anni – due mandati – sindaco di Roma, segretario dei Ds (che con lui raggiunsero comunque il punto più basso con il 16,6% di preferenze nel 2001), primo segretario del Pd, «giubilato» dopo le regionali in Sardegna nel 2009. E poi ancora scrittore. Ma anche doppiatore nel film di animazione della Disney «Chicken Little - Amici per le penne» di Rino Tacchino, il sindaco della comunità degli uccelli. Mentre, da direttore de «L'Unità», è stato il primo ad allegare un testo sacro al quotidiano, un'edizione dei Vangeli. Ora però Walter Veltroni saluta e se ne va. Dove? In Africa, ghignano i più maligni ricordando quanto disse nel 2001, subito dopo la vittoria a Roma: «Non so quanto tempo mi impegnerà l'incarico di sindaco. Ma comunque a un certo punto finirà e invece di diventare uno di quei politici per i quali si cerca un posto in un consiglio di amministrazione, vorrei dedicarmi alla questione dell'Africa». Ci credettero in pochi allora, ci credono in pochi anche adesso. Si mormora già che, invece, gli piacerebbe assai un posto alla Rai. Ma le sue «passioni» potrebbero portarlo anche altrove, a una poltrona ad esempio alla Biennale di Venezia. O al festival del cinema di Roma, una sua creatura. O chissà che altro. Specialmente se a vincere sarà il centrosinistra, i posti non mancheranno. Quello di ieri alla Camera è stato un discorso applaudito, dove gli spunti polemici sono stati tutti per il centrodestra e per Berlusconi, per quelle che considera le sue false promesse: «La politica è straziata, ridotta a merce fasulla, illusionismo da circo di provincia – legge Veltroni in aula – "fuori dall'euro", "abbasso la Germania", togliere tutte le tasse a tutti e condonare ogni errore. Promesse irrealizzabili, inganni cinici, è voto contraffatto, è voto di scambio: io potente ti vendo un illusione, tu, cittadino, ci metti la tua disperazione». E a proposito delle elezioni Veltroni si raccomanda: «Rifiutate i voti sporchi». Al Cavaliere si è rivolto direttamente alla fine del discorso: «Non ho citato fin qui l'onorevole Berlusconi perché ho sempre pensato che l'Italia debba andare al di là di lui, che non basti additarlo come nemico per cambiare radicalmente il Paese. È lui che fa così da anni e per questo porta più responsabilità di ogni altro italiano per lo stato del Paese». Un'Italia, aveva detto poco prima Veltroni, «che ha bisogno di futuro e non di passato, e ha bisogno di idee serie e di persone serie che possano guidarla fuori da questo tunnel come ha saputo fare – e dobbiamo tutti ringraziarlo – Giorgio Napolitano. Siamo nel momento più drammatico della nostra storia». E per salvare il Paese c'è bisogno di un «Pd riformista». «Questa è la nostra missione – ha conluso – la missione del partito Democratico». Veltroni se ne va. Giù il cappello. È stato tra i pochi a farlo volontariamente.

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