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Monti è già in campo e fa asse con Marchionne

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Il premier battezza il piano industriale del Lingotto «Una svolta da cuori forti che sogno anche per il Paese»

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o.Mario Monti fa tappa allo stabilimento Fiat di Melfi per la presentazione del nuovo piano industriale del Lingotto e si esibisce in un discorso dai forti connotati più politici, carico di riferimenti a un lavoro «appena cominciato che va assolutamente continuato». Inoltre, cosa più importante, incassa l'endorsement dell'intero mondo Fiat. Non bastasse la presenza dell'associazione di Montezemolo tra le liste che lo sosterranno alle prossime elezioni, ci hanno pensato anche l'ad di Torino Sergio Marchionne e il presidente del gruppo John Elkann a chiarire come il mondo italiano dell'automobile abbia deciso di puntare forte sull'attuale presidente del Consiglio. Per Marchionne «quello che ha fatto il governo negli ultimi 12 mesi è ammirevole», e l'agenda dell'esecutivo «ha dimostrato coraggio e lungimiranza». Sulla stessa falsariga Elkann, per il quale «questo governo ha ricollegato l'Italia al mondo, e ci auguriamo che questa credibilità non venga meno neanche in futuro». Mario Monti varca i cancelli dello stabilimento di Melfi quando sono da poco passate le 12 del mattino. Viene accolto dai vertici Fiat e da un lungo applauso dei dipendenti. Un gradimento così caloroso che probabilmente il premier non si aspettava. Presenti anche i leader delle sigle sindacali che hanno firmato l'accordo per il nuovo piano industriale di Torino: Luigi Angeletti della Uil e Raffaele Bonanni della Cisl. Assente, non a caso, Susanna Camusso della Cgil, mentre all'esterno della fabbrica un gruppo di dissidenti Fiom formano un capannello e stendono striscioni di protesta. Il discorso di Monti, come detto, è quasi un manifesto programmatico. Dopo aver ringraziato la Fiat per l'impegno nello stabilimento lucano, il premier indica la svolta del Lingotto come cambio di passo possibile per tutta l'Italia e affronta i nodi nazionali: «Quello che accade qui - spiega - non è magico, ma è emblematico della svolta possibile in Italia. È quello che vorrei per il Paese. Oggi vince l'Italia che sa rimboccarsi le maniche. Marchionne ha detto che il progetto Fiat non è per i deboli di cuore, io credo che Melfi sia un esempio dell'Italia forte di cuore». «Non si può riformare un Paese senza accelerare un'evoluzione della mentalità», continua Monti, perché così facendo «si riacquista una speranza di crescita e di fiducia in se stessi. Siamo solo all'inizio e occorrerà migliorare giorno dopo giorno». È solo il primo di tanti passaggi in cui il premier indica la necessità della continuità politica. Non svela mai le sue intenzioni, risponde con un sorriso cortese ai cronisti che gli chiedono del suo futuro politico, ma al tempo stesso rivendica con orgoglio quanto fatto in poco più di un anno: «Sarebbe irresponsabile dissipare i grandi sacrifici che gli italiani si sono assunti», avvisa, «Sarebbe irresponsabile far credere di vivere in uno Stato nirvanico e lontano dalla realtà per la prospettiva di un consenso elettorale di breve periodo». Che i sacrifici siano stati pesanti da sopportare Monti è il primo a saperlo: «Ma quando ci siamo insediati l'Italia aveva la febbre alta, non bastava un'aspirina». Ora, secondo il premier, può iniziare una nuova fase di crescita. Ma è indispensabile che ognuno faccia la propria parte. A partire dai sindacati. «Credo che a questo sforzo collettivo - dice il Professore - debbano cooperare imprese, lavoratori, sindacati e pubblici poteri, operando in sinergia, accomunati da un solo filo, che prepara il futuro: la volontà di fare le riforme, accettarle, per cogliere nuove opportunità per i lavoratori», liberandosi da «una catena che inchioda al passato, che è il rifiuto del cambiamento, aggrappati a un passato che non tornerà, arroccati a forme di tutela degli interessi dei lavoratori che nel tempo hanno l'effetto opposto». Il premier non si è ancora candidato a guidare questo processo, ma le parole che pronuncia fanno capire che lui si sentirebbe in grado, perché lo ha già fatto in passato: «Ricordo il lungo sabato pomeriggio passato a palazzo Chigi con i vertici Fiat - racconta - per sintonizzare le nostre visioni, da cui uscì l'intesa concretizzata a Melfi, senza che il governo, deludendo molti, battesse i pugni sul tavolo, e senza che la Fiat, sorprendendo molti, chiedesse aiuti al governo». Il messaggio è lanciato. Anche a quella sinistra che, secondo molti, è troppo sdraiata sulle posizioni sulla Cgil. E infatti le reazioni non si fanno attendere. In primis dal Pd, che con il responsabile economico Stefano Fassina accusa il premier di aver «strumentalizzato polticamente la giornata di Melfi» e di aver «taciuto di fronte alla limitazione della democrazia nelle aziende del Gruppo Fiat-Chrysler». Vendola rincara la dose: «Per noi non è una sorpresa che il primo endorsemente alla nuova "agenda Monti" arrivi da Marchionne. Avevamo sempre sottolineato il carattere conservatore del governo». Di tutt'altro avviso le opinioni dei sostenitori del premier. In una giornata che ha fatto registrare nuovi interventi da parte di tutta la galassia montiana, da Olivero a Riccardi, da Cesa al ministro Catania, al coro si aggiunge anche il leader della Cisl Bonanni: «Monti può portare chiarezza in un agone politico confuso: abbiamo bisogno di persone credibili e lui fa al caso dell'Italia».

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