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di Massimiliano Lenzi La televisione, nonostante le profezie sul futuro del web di molta stampa, i panegirici sulla potenza della rete, gli elogi della sua capillarità, resta l'arma più forte.

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C'èuna liturgia, una predisposizione, una fruizione supina che fanno dell'etere via piccolo schermo un campo formidabile nella comunicazione politica, soprattutto sotto o a ridosso di elezioni politiche nazionali. Per questo, sentire domenica sera, a Che tempo che fa, su Rai 3, il programma di Fabio Fazio, Luciana Littizzetto dire sul Cavaliere che «ha proprio rotto il c....» ha fatto un certo effetto. Vestita d'azzurro, seduta su di sé, dinnanzi al cerimoniere della serata, Luciana con la leggerezza della comica le ha cantate al Cavaliere. Ha fatto effetto, la sua frase, ma non per l'uso quasi compiaciuto della parolaccia (uno dei tratti salienti della comicità della Littizzetto), non per un atteggiamento moralista, non per un certo perbenismo ma perché la Rai, la tv pubblica, si è mostrata parte in causa. Conformista, ancora una volta. Luciana ha detto quello che tutti si aspettavano dicesse, è stata prevedibile come la televisione non dovrebbe - anche se pubblica - mai essere. Il Cavaliere torna? E allora dai, diciamogliene quattro così impara a far finta di andare. Chi, anche nel centrodestra, come questo quotidiano, crede che il ritorno di Silvio sia un errore, una pagina che assomiglia più ad una battaglia finale, ad una sorta di Repubblica di Salò postdatata nel tempo e non cruenta (per fortuna), non può che sussultare quando ascolta la Littizzetto fare la sua battuta. Perché Luciana sulla televisione pubblica è ospite, libera di dire quello che vuole certo, e ci mancherebbe, ma non si capisce perché debba diventare, anche lei, promanazione dell'Italia che non cambia. Perché i comici debbano essere, sulla Rai, contro Berlusconi e non fare i comici e basta? Lunedì 17 dicembre, su Rai 1, tornerà in prima serata Roberto Benigni con il suo spettacolo sulla Costituzione italiana, «La più bella del mondo», questo il titolo. Lo parafrasiamo, e non a caso, ma volutamente perché non vorremmo, non vogliamo che Berlusconi diventi il più brutto del mondo per un pezzo della tv italiana, a cominciare dalla Rai. Sarebbe questo il miglior modo di non liberarsi dell'abbraccio eterno tra bene e male, una narrazione manichea che farebbe ripiombare l'Italia in un racconto che l'ha imprigionata per venti anni. Per uscire, anche dal ritorno di Berlusconi, dal gusto di un eterno replay, servirebbe che la satira italiana trovasse uno scarto di fantasia, la forza di uscire dalla facilità della battuta, dall'ovvio, dall'uovo schiacciato di Colombo. Uno sforzo che anche la tv nazionale, soprattutto quella pubblica, dovrebbe far proprio per rigenerare la sua forza di far vedere l'Italia agli spettatori. Un paese che il Censis nel suo ultimo rapporto ha raccontato in crisi, con un ceto medio a pezzi, con le tasse in crescita, con il Pil che non ne vuole sapere di salire. Questo paese non può lenire i propri malanni né con il ritorno del Cav né con una satira dalla facile battuta. C'è poi un altro aspetto, culturale e politico, da sfruculiare. Chi avesse pazienza e tempo per guardarsi l'esercizio della ferocia della satira, garanzia di libertà dei comici, si accorgerebbe che negli ultimi 18 anni, il tempo di Berlusconi, la ferocia è stata proporzionale all'oggetto di satira: se questo era Silvio il livello era alto, per gli altri un po' meno. Si dirà, ma l'uomo è potente, un imprenditore, un politico, non merita sconti. Sì l'uomo è potente ma come sono potenti la politica ed il Potere. Anche nel dislivello di ferocia critica, si avverte, insomma, un certo conformismo dei comici e dei satiri italiani. Che ritorni, oggi, con il Cav quasi sconfitto e ancora in campo, non è atto estremo di libertà ma di facilità. Il bersaglio è facile, non vinto, certo - perché uno come Berlusconi non si arrende mai - ma è noto. Se la televisione è anche creatività, che si mettesse dunque al lavoro. Il pubblico saprà giudicare gli esercizi di spettacolo e di satira, di comicità, soprattutto al di fuori del conformismo. E quanto alla parola cazzo volata lì, sulla Rai, in prime time. Va beh, se proprio vogliamo guardare al contrappasso, diciamo che per anni intellettuali di sinistra ci hanno riempito la testa sulle volgarità della tv commerciale. Chi è senza peccato scagli la prima pietra, viene da replicargli. O, più laicamente, vien da fare un appello: cari comici, se non volete farci morire berlusconiani a nostra insaputa (e contro volontà) aggiornate il vostro repertorio, la vita scorre e il mondo (Italia compresa) è così vario.

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