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Preceduta ieri dal monito del capo della diplomazia Ue Catherine Ashton, oggi l'Europa si è mossa.

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Ela pressione contro il progetto è salita di tono anche da parte di Usa, Cina e Russia. Il pressing non ha tuttavia convinto il premier Benyamin Netanyahu a recedere: una fonte del suo ufficio - nel pieno dell'offensiva diplomatica internazionale - ha ribadito il suo progetto a fronte della «mossa unilaterale» palestinese con la presentazione dell'accredito, poi approvato, come Stato osservatore delle Nazioni Unite. Un diniego che non ha tenuto conto delle proteste di Germania (dove Netanyahu arriverà mercoledì), Italia (il premier Mario Monti «profondamente preoccupato» si è schierato con la linea europea), Russia e Cina. In serata gli Usa hanno definito «unilaterale» (come la mossa palestinese all'Onu) la decisione di andare avanti nel progetto e «controproducente rispetto all'obiettivo di vivere fianco a fianco in modo pacifico e in sicurezza». L'asse Parigi-Londra (la prima favorevole nel voto all'Onu, la seconda astenutasi) è scattato contemporaneamente: una duplice chiamata per far sapere che il progetto deve essere ritirato, altrimenti è inevitabile «una reazione forte». Un contrasto che è sembrato preludere - secondo notizie di stampa diffusesi in Israele stamattina - addirittura al richiamo degli ambasciatori francese e inglese dallo Stato ebraico. Per ora però ha prevalso il richiamo, seppur severo: il presidente francese Francois Hollande ha detto di non voler entrare nei confronti di Israele in «una logica di sanzioni» ma fare un'opera «di convincimento». «A gennaio ci saranno le elezioni e - ha aggiunto - bisogna fare il possibile» affinchè avvengano «nel contesto migliore». Downing Street ha parlato «di irritazione e inquietudine», ma ha escluso il richiamo dell'ambasciatore. Il governo tedesco ha detto che «Israele ha dato un messaggio negativo» sul fronte dell'auspicata, e possibilmente celere, ripresa dei negoziati tra le parti per la pace in Medio Oriente. «Invitiamo - ha sottolineato il ministero degli Affari Esteri russo - la parte israeliana a cambiare i suoi piani per la costruzione di nuove case e a continuare il trasferimento di soldi ai palestinesi». E anche la Cina ha confermato oggi contrarietà all'espansione degli insediamenti a Gerusalemme est e in Cisgiordania, chiedendo a Israele di creare le condizioni necessarie per riprendere i colloqui con la Palestina al più presto. Spagna e Svezia - le altre due nazioni che hanno convocato gli ambasciatori di Israele - non hanno risparmiato le critiche al progetto «E-1» (Est). Un'azione che avrebbe come effetto - secondo le interpretazioni correnti - di separare l'antica Samaria biblica dalla Giudea, e di isolare i territori dell'Anp da Gerusalemme compromettendo così la contiguità territoriale di uno Stato palestinese. Israele per ora è restata sulle sue sue posizioni: l'ufficio di Netanyahu ha replicato alle pressioni internazionali sostenendo che «l'unilaterale mossa palestinese all'Onu è una lampante e fondamentale violazione degli accordi di cui la comunità internazionale era garante. Nessuno - ha aggiunto - dovrebbe essere sorpreso che Israele non resti seduto a braccia conserte in risposta ai passi unilaterali palestinesi». E in serata è stato il ministro dell'Interno Eli Yishai a puntualizzare che Israele non ha solo «il diritto» ma «l'obbligo» di costruire a Gerusalemme «come aspetto importante nei riguardi della sicurezza del Paese». Ma la decisione del governo - supportata e difesa a spada tratta dalla coalizione di maggioranza - non è piaciuta a tutti: dall'opposizione si sono levati i no. Tra questi quello dell'ex ministro degli Esteri e candidata alle prossime elezioni politiche in Israele con un proprio partito centrista, Tizpi Livni, secondo cui la decisione di Netanyahu «isola Israele». «In un mese di pericolose mosse diplomatiche e militari - ha denunciato - Netanyahu ha consolidato lo stato di Hamas a Gaza, ha fatto nascere uno Stato palestinese alle Nazioni Unite e ora, con la sua risposta, rende Israele colpevole agli occhi del mondo». Decisa, ma anche attenta a non pregiudicare il prossimo incontro a Berlino tra Angela Merkel e Benjamin Netanyahu, è la posizione della Germania. «Il governo tedesco», ha detto il portavoce Steffen Seibert, «è molto preoccupato». L'ambasciatore tedesco in Israele, per il momento, non dovrà rientrare in patria.

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