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Ha vinto il comunista Renzi ringrazia tutti: «Era giusto provarci»

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Arrivano i primi dati e il sindaco ammette la sconfitta Matteo paga il calo dei suoi elettori e non cerca alibi

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Alcomitato romano di Matteo Renzi in piazza delle Cinque Lune si «gioca» con il simulatore sul sito del Centro Italiano Studi Elettorali messo a punto dal professor Roberto D'Alimonte. Nessuno mette in dubbio la sconfitta. È solo questione di percentuali. «Se finisce 60 a 40 - commenta uno dei presenti - significa che non siamo riusciti a riportare a votare i nostri elettori». Ore 20.10. La grande sala comincia ad animarsi. Si accende il maxischermo. Arriva la cena: pasta al forno, tacos, nachos, guacamole, pollo fritto. Le televisioni sono già pronte per le dirette. All'improvviso l'attenzione si focalizza sul primo Istant Poll dell'Istituto Piepoli: Pier Luigi Bersani 61,5%, Renzi 38,5%. Qualcuno scuote la testa. Non è possibile. Ore 20.15. Il sindaco di Firenze sceglie Twitter per rompere un silenzio che dura da quasi 9 ore. Ma non sono buone notizie: «Era giusto provarci, è stato bello farlo insieme. Grazie di cuore a tutti, ci vediamo alla fortezza da basso alle 21.30 #pDay» Titoli di coda. È finita. Da questo momento in poi è un misto di delusione e incredulità. I dati, «ufficiosi» come si premura di sottolineare il coordinatore del comitato per le primarie Nico Stumpo, cominciano ad arrivare sul sito www.primarieitaliabenecomune.it. Stavolta, a differenza del primo turno, non ci sono intoppi (sarà un caso?). Sale il numero dei seggi scrutinati ma il risultato non cambia: Bersani si muove lungo la linea dei decimali che vanno dal 60 al 61%, Renzi dal 39 al 40. Per capire cosa è successo basta il dettaglio di due Regioni: Marche e Umbria. Domenica 25 novembre erano state conquistate da Matteo, questa volta Pier Luigi è saldamente sopra il 50%. Al sindaco di Firenze resta la soddisfazione di aver confermato la Toscana. Troppo poco per sperare nel colpaccio. D'altronde, che qualcosa non stesse funzionando nel campo renziano, lo si era già capito nel pomeriggio quando Matteo aveva annullato la partita di calcetto organizzata con il proprio staff spiegando che, «vista l'affluenza in calo», preferiva andare al comitato elettorale. Quasi contemporaneamente dallo staff era partita una mail: «Attenzione, affluenza in netto calo, come ovvio viste le regole. Se ritorniamo tutti a votare, vinciamo. Forza! Proviamoci, è fattibile. Adesso». Nemmeno l'ultimo disperato appello è servito. Anche perché il segretario del Pd ha potuto contare su buona parte dei voti degli altri tre candidati, su tutti quelli di Nichi Vendola. Che non a caso è il primo, e l'unico, a fare la sua apparizione al comitato centrale di via Tomacelli. «Ora bisogna vincere le Politiche - è il suo commento a caldo - e costruire tutti insieme, se sarà possibile, un'esprienza di governo. A me pare che la percentuale importante che ha ottenuto Bersani dica con chiarezza che serve una svolta a sinistra». Messaggio chiaro allo sconfitto, come quello con cui liquida la possibilità di un ticket Pier Luigi-Matteo: «È sbagliato porre la questione in questi termini. Bersani è il candidato premier e spetta a lui trasformarla in un'alleanza grande soprattutto con le nuove generazioni». Alle 21.30, puntuale, Renzi arriva alla Fortezza da Basso. È la prima volta nella sua storia politica che si trova a commentare una sconfitta in una competizione ufficiale, ma non cerca alibi, né giustificazioni. «Ho appena chiamato Bersani - esordisce - per fargli i miei e i vostri complimenti. La sua è una vittoria netta. Abbiamo messo in campo due idee diverse di Italia, la nostra non è stata vincente. Io ho perso». «E a quelli che ci dicono di essere allegri perché comunque abbiamo vinto - prosegue -, rispondo che noi allegri lo siamo, ma non eravamo qui per fare una battaglia di testimonianza. Ho sbagliato e voglio chiedervi scusa. Fuori dalla Toscana non sono riuscito a scrollarmi di dosso l'immagine del ragazzetto ambizioso. Non siamo riusciti a incrociare un sufficiente numero di italiani da portare a votare, peccato. Lasciamo a Bersani questo compito: di parlare all'Italia che è rimasta fuori dai gazebo». Poi un appello ai suoi: «Siate orgogliosi di quello che siete riusciti a fare in questi 3 mesi. Domattina al lavoro non siate depressi ma sorridete. Perché anche se c'è una cicatrice, vale quello che ha scritto Bersani (Samuele non Pier Luigi): "È sempre bellissima la cicatrice che mi ricorderà di essere stato felice"». E guai a pensare che questa sia la «fine», «abbiamo entusiasmo, tempo, libertà». Bene o male, da oggi, i big del Pd dovranno fare i conti con loro. Alle 22.21 sono tutti in prima fila quando il leader del Pd fa il suo ingresso al Teatro Capranica di Roma. È il momento della festa. Bersani rivendica il merito di aver voluto le primarie e di averle vinte. Ringrazia chi ha reso possibile questo successo, saluta lo sconfitto e guarda già al prossimo appuntamento elettorale: «Dobbiamo vincere senza raccontare favole. Altrimenti non si governa». Trecento chilometri più a Nord, a Firenze, Renzi lascia la Fortezza da Basso: «Sono riuscito a non piangere, e non era facile». Anche sua moglie Agnese rompe il silenzio: «Se lo aspettava. Aveva tutti contro». All'Artemio Franchi la Fiorentina è riuscita a pareggiare in rimonta contro la Sampdoria. Non è serata per vittorie.

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