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«Non voglio piacere, ma essere creduto» ha detto Pier Luigi Bersan

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Ein fondo il problema è proprio quello: si può pensare di vincere accontentandosi di non piacere all'elettorato? Per semplificare il concetto è utile usare altre due frasi pronunciate dal segretario del Pd nell'ultimo giorno di comizi: «Io dico le cose come sono», oppure «quando saremo al governo faremo tutto con verità e semplicità». Propositi nobili, per carità, ma è davvero quello di cui gli italiani - e non l'Italia - hanno bisogno? Bersani è stato definito spesso da Matteo Renzi come «l'usato sicuro». E sono in pochi quelli che non lo considerano «il migliore tra i suoi». In fondo, se chiedete a un elettore del Pd di menzionarvi cosa ha fatto di buono il centrosinistra negli ultimi vent'anni, vi citerà al 90% le «lenzuolate» di liberalizzazioni con le quali, nel 2007, l'allora ministro dello Sviluppo economico provò a scrostare dal tessuto economico del Paese quella rete di corporazioni che ancora ne frena la crescita. Lo stesso curriculum elettorale dell'uomo venuto da Bettola parla chiaro. Bersani, in vita sua, non ha mai perso un'elezione. La sua carriera politica è stata un'ascesa continua. Presidente di Regione, ministro ancora prima che deputato, segretario di quello che, anche grazie agli harakiri degli avversari, è diventato il primo partito italiano. E che sotto la sua guida ha sbaragliato il Pdl in tutte le consultazioni, amministrative o referendarie che fossero. Il problema, semmai, è che Bersani oggi, con lo sfascio della Seconda Repubblica e la nebbia che avvolge la genesi della Terza, sembra il classico uomo giusto finito al posto sbagliato nel momento sbagliato. L'onesto funzionario di partito quando di partiti la gente non vuol più sentir parlare, l'affidabilissimo amministratore a cui affidare una cassa nella quale, però, non c'è più un euro. Per finire: il segretario del Pd è il classico animale da comizio, capace di sollecitare la razza in estinzione che si chiama «militante». Ma oggi la politica è un'altra cosa: lo si è capito nel corso dei confronti tv con l'avversario Renzi. Là dove il secondo era rapido, pungente, dissacrante, lui restava incerto, confuso, incapace di replicare all'ironia dell'avversario se non con metafore di significato oscuro. E poco importa se si faceva preferire sui contenuti. Bersani, è questa la sua «colpa» maggiore, c'era. Nei vent'anni in cui Silvio Berlusconi si è fatto beffe della sinistra italiana lui era uno di quelli che approntavano gioiose macchine da guerra ma venivano puntualmente sconfitti. E quando vincevano finivano anche peggio, come ha perfidamente ricordato Renzi citando i suoi 2.547 giorni di governo e le riforme mancate dal centrosinistra. Si fa presto a dire che Bersani era «il migliore dei suoi», ma quando una storia finisce vengono archiviati tutti i personaggi, i buoni e i cattivi. Non basta «rottamare» D'Alema e Veltroni per recuperare la verginità (politica). Eppure queste primarie, almeno secondo i sondaggi, il segretario riuscirà a vincerle. Ma anche questo fa parte della trama. La vittoria sarà in ogni caso mutilata. Perché la battaglia sulle regole ha segnato gli animi, e alla fine sarà difficile togliersi di dosso l'ombra dell'apparato. Una beffa per chi, nonostante tutto, di questa consultazione di successo è stato l'artefice. E poi perché il trionfo nelle primarie non è detto che si ripeta alle Politiche. Non tanto - o non solo - perché c'è chi lavora al Monti-bis. E neanche perché la polarizzazione dello scontro nelle ultime ore ha inimicato al segretario i votanti «renziani». Ma perché Bersani non è stato, non è e non potrà mai essere l'uomo del sogno. E lui, con la coerenza e l'onesta che non si possono non riconoscergli, non ha mai neanche fatto finta di esserlo. Racconta le cose «per come sono», ma forse la gente ha voglia d'altro, di sentire quello che potrebbe essere, e non quello che è. Non fosse altro perché la realtà fa paura. Di certo le sue parole piacciono alla sinistra, ma il corpo elettorale è tutta un'altra cosa. Lo dimostrano tutte le elezioni repubblicane. Bersani è come l'attore di teatro: riempie piccole sale e riceve gli elogi della critica, ma poi la folla corre in massa al cinema a vedere il cinepanettone. Può il Paese che per vent'anni ha votato Berlusconi innamorarsi di chi parla di «verità e semplicità»? Sarebbe forse un mondo migliore. Ma il mondo reale, quello è un'altra cosa.

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