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Ci sarebbe un sondaggio che dovrebbe invitare tutti a tenere i toni bassi e a evitare spaccature insanabili.

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L'opposto,con Renzi alla guida e Bersani secondo, arriverebbe addirittura al 33. Attenzione: si tratta di un rilevamento su tutto l'elettorato, che quindi comprende anche simpatizzanti di destra, indecisi o intenzionati ad astenersi. E che quindi supererebbe di gran lunga gli stessi consensi attualmente attribuiti al Pd, intorno al 30% dei soli voti «espressi». È uno scenario plausibile? Da ieri, probabilmente no. E non solo perché lo escludono apertamente i candidati, con Renzi che definisce il ticket «non nel mio programma nè nel mio carattere» e Bersani che rimanda tutti i discorsi come «troppo futuribili, da analizzare più avanti». Ma perché dopo lo scambio di accuse e veleni andato in scena nelle ultime ore con incredibile intensità, difficilmente il Partito democratico potrà rimettere insieme due anime che ormai appaiono irrimediabilmente lontane. Ha ragione Renzi quando dice che «il comitato di Bersani dovrebbe stare molto attento quando insulta i miei elettori, perché poi tra tre mesi dovrà chiedere il voto anche a loro e a questo punto mi sembra difficile». Ma la verità è che in questo ultimo scorcio di campagna elettorale a soffiare sul fuoco delle polemiche è stato soprattutto il sindaco fiorentino. Al quale Bersani, dopo aver provato a recitare il ruolo di padre comprensivo rispetto al figlio dispettoso, ha cominciato a rispondere a tono. Il dibattito si avvita inevitabilmente sul tema delle regole. Su quello delle iniziative pubblicitarie più o meno illegali promosse dai rispettivi comitati, ma soprattutto su quello della platea elettorale, che Renzi vorrebbe allargare e Bersani «blindare». Ma il sindaco non ci sta. «Dal segretario mi aspettavo sinceramente qualità umane diverse», attacca il «rottamatore». Sono le parole più «dolci» pronunciate in giornata. Per le vere e proprie staffilate il sindaco lascia fare al proprio comitato elettorale. «Essere trattati così dal nostro segretario - spiega Roberto Reggi, coordinatore della campagna - ci lascia mortificati e non capiamo il perché. È difficile accettarlo. Prima siamo stati accusati di voler spaccare il partito, noi vogliamo solo ampliare la partecipazione e poi il segretario ci tratta così, siamo mortificati». E ancora: «Questi hanno perso il lume della ragione, è evidente che hanno paura. Ma un partito che ha paura della partecipazione ha perso la sua ragione fondamentale». C'è chi va oltre: «Non siamo noi che stiamo facendo impazzire la maionese, sono i dirigenti del Pd che hanno deciso di fare impazzire gli elettori», denuncia Matteo Richetti, altro renziano, che definisce l'esposto degli altri quattro candidati sulla pagina acquistata sui quotidiani per invitare tutti a votare «un atto di inquisizione contro Matteo Renzi e la partecipazione al ballottaggio». Di fronte a questo fuoco di fila lo sfidante di Bersani prova a recitare la parte del poliziotto buono. Ma la sua è una tattica che prevede frenate e accelerate improvvise: «Giochiamo una partita leale e torniamo a parlare di contenuti», ammonisce, salvo poi chiedere che «Bersani recuperi un po' di serietà da parte dei suoi, dai quali ho ricevuto valanghe di insulti, perché non ha bisogno di questi mezzucci per vincere». Il segretario, ovviamente, non resta con le mani in mano. E attacca il suo sfidante giocando sui nervi scoperti. Quello delle regole ma soprattutto quello delle radici ideologiche. «Le regole non si possono cambiare da un turno all'altro - attacca Bersani - anch'io invito i miei sostenitori a provare a iscriversi al secondo turno, ma devono farlo nel rispetto delle norme. Vorrei dire a Renzi che dobbiamo superare una brutta stagione in cui la ricerca del consenso ha superato il rispetto delle regole e questo non deve accadere più, e vorrei che lo dicesse anche lui». Non è l'unico «desiderio» del segretario, che invita il sindaco anche a pronunciare la scottante parola «destra»: «Il nostro primo problema è la destra che esiste, vorrei che questa parola fosse pronunciata anche dal mio competitore. Sono loro i nemici contro i quali batterci, non è possibile che Renzi critichi così tanto la riforma della scuola di Berlinguer e non dica una frase contro quella delle Gelmini». Il clima è infuocato, i candidati provano a battere i territori nei quali al primo turno hanno vacillato. Renzi è a Napoli, nel sud dove non ha sfondato, Bersani a Siena, nella rossa Toscana che gli ha voltato le spalle. Oggi, invece, il caso (?) li ha voluti nello stesso luogo per l'ultimo capitolo della sfida, all'ora dell'aperitivo a Milano: Renzi sarà alle 11 al Barriòs, il centro sociale di don Gino Rigoldi; Bersani un'ora più tardi allo spazio culturale «Casa di Alex». Probabile che voleranno altri colpi bassi. Col sindaco di Firenze che, vista la location, potrebbe giocarsi la carta più ardita: quella giudiziaria. Il caso-Penati, in Lombardia, è una vicenda che tiene ancora sulle spine Bersani.Car. Sol.

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