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di Marlowe «Il più pericoloso leader europeo».

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Maal New Statesman non mancano i quarti di nobiltà, con quasi cent'anni di vita e la tradizione di battaglie socialiste e liberal. Sull'ultimo numero il settimanale londinese mette in copertina la Cancelliera nei panni di Terminator, con la faccia tutta cavi d'acciaio e occhio artificiale, la tuta in pelle, tra le macerie del Vecchio Continente. Una settimana fa era stato invece l'Economist in persona a picchiare duro: in prima pagina la nave a picco dell'economia mondiale e l'appello disperato del comandante «Per favore, ora possiamo accendere i motori, signora Merkel?». Questo è il clima di là dalla Manica, non nell'allegro (per i tedeschi) Club Med. Se gli umori della stampa valgono qualcosa, e nella Germania attuale certamente valgono, sentite che cosa rispondono i giornali teutonici: l'Handelsblatt riproduce la stessa copertina dell'Economist, ma a tirare già la nave sono cinque sacchi di zavorra con le bandiere di Italia, Spagna, Grecia, Usa e Francia. Bontà loro, siamo in buona compagnia. Mentre in superficie un'altra imbarcazione naviga maestosa, bandiera tedesca al vento. Due passeggeri dialogano tra loro. Il ministro dell'Economia Wolfgang Schauble chiede: «Dove sono i nostri amici, Angela?». E lei: «Troppo grossi per stare a galla». È la conferma di quanto scriviamo da tempo: è in atto a Berlino e dintorni una deriva della classe dirigente, che attraversa anche la stampa, per imporre all'Europa, e magari al mondo intero, il pensiero unico del fiscal compact. A prendersi direttamente cura di noi è ieri nuovamente Der Spiegel, l'autorevole e diffusissimo settimanale di Amburgo. L'editorialista Jan Fleischhauer, che già identificò nel comandante Schettino «il carattere nazionale degli italiani», titola il suo pezzo «Appello alla mamma». Riferimento a quel «Schnell, Frau Merkel» («Presto, Signora Merkel») messo in copertina dal Sole 24 Ore. Iniziativa alla quale hanno partecipato anche politici tedeschi come Gerhard Schroeder e Joschka Fischer. Lo Spiegel usa però un registro diverso, quello canzonatorio: gli sforzi economici prodotti in passato dall'Italia sono «algebra napoletana»; e quanto al al governo Monti, dire che crescita e risparmio si escludano a vicenda «è una cosa da stupidi». Per la verità nessuno ha mai sostenuto una cosa simile: caso mai non l'Italia, ma il mondo intero (Merkel esclusa) pensa che dopo i tagli serva urgentemente la crescita, e che la recessione si stia divorando il risparmio, pubblico e privato. È stupido questo? Ma è quando affronta l'aspetto sociale della faccenda che allo Spiegel slitta, tanto per cambiare, la frizione. Noi italiani saremmo «convinti che solo la Cancelliera possa salvare il loro paese». Caro Fleischhauer, la pensiamo esattamente al contrario, e non siamo soli: la vostra Kanzlerin il paese lo sta rovinando, e non solo l'Italia. Chiedere in Francia, Stati Uniti, Spagna, Inghilterra. Quanto all'«algebra napoletana», non si può negare la finanza allegra e l'eccesso di spesa pubblica fino al 2008. Ma che dire del fatto che il debito pubblico tedesco era quattro anni fa al 65,9% del Pil e oggi è all'88? Si tratta di un aumento di un terzo esatto. Nello stesso periodo il debito italiano è passato dal 106,5 al 120%: il 12,6 in più. Un aumento di meno della metà rispetto alla Germania. E questo lasciando perdere il debito occulto di Berlino, che con tutte le spese previdenziali e dei land sarebbe almeno doppio di quello conteggiato. Quanto alle virtù prussiane, possiamo solo sottoscrivere ciò che Monti ha ricordato al termine del summit con la Merkel, Hollande e Rajoy: «Nel 2003 la Germania e la Francia con l'autorizzazione e la complicità della presidenza italiana deragliarono dalle regole dell'euro; abbiamo impiegato quasi dieci anni a ricostituire la credibilità che non venne infranta dai greci e dai portoghesi». Se fossimo nei panni dei colleghi tedeschi faremmo due cose. La prima: abbandoneremmo l'aria da primi della classe e soprattutto da difensori dell'ortodossia governativa che indossano sempre più spesso, e sempre più volentieri. Noi italiani siamo specialisti nel contrario, nell'autosputtanamento. Ma credete: la spocchia non paga, dà solo fastidio, e spesso si rivela un boomerang terribile. Mentre l'appiattimento acritico sul governo, perfino se fosse il migliore del mondo, non è degno dell'informazione libera, quale ci risulta che ancora sia in Germania. Ma come: ci avete rotto le scatole con il bavaglio in Italia ai tempi del Cavaliere, e adesso proprio voi gettate all'ammasso le vostre migliori menti e le vostre più prestigiose testate? È già accaduto alcuni decenni fa: quando dalla libertà si passò all'autocensura, e quindi alla censura e alla propaganda (con tanto di luoghi comuni, o peggio, sugli «altri»), prima ancora che lo imponessero le leggi e il regime. Rifletteteci. Seconda cosa. Ma siete sicuri di vivere nel paradiso terrestre? Una serie di dati di fonte tedesca rivelano che qualcosa scricchiola anche tra Berlino e Francoforte. L'indice di fiducia delle aziende tedesche è sceso a giugno a 105,3 punti rispetto ai 106,9 precedenti: un calo superiore alle pur pessimistiche attese. Un altro indicatore, l'indice Zew sulle conzioni per l'economia, è crollato di circa 17 punti, il minimo da 13 anni. Gli autori, lo Zew Center for Economic Research, spiega il tonfo con «il peggioramento delle condizioni delle banche particolarmente esposte sulla Spagna e sulla Grecia». Uno studio R&S-Mediobanca rivela che i derivati, il vizio d'origine della crisi del 2008, valgono ancora la metà del Pil europeo. E qual è la banca con più titoli tossici? La Deutsche Bank, i cui 860 miliardi di euro di derivati, sono pari al 39,7% delle attività; e la stessa DB è tra le 15 grandi banche mondiali appena declassate da Moody's. Ci credano gli illustri commentatori tedeschi: nessuno è a caccia dei loro soldi. E Dio ci scampi dalla Merkel come mamma.

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