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di Massimiliano Lenzi Merito, quanti delitti si commettono in tua assenza.

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Ilpunto è che in un Paese dove il merito è praticamente scomparso dalle relazioni sociali, bloccando al piano zero l'ascensore delle intelligenze e delle mobilità, pare che la politica e pure la società civile, questa (s)conosciuta, siano propense a pensare che governare la televisione non richieda competenze ad hoc. Accade, ad esempio, che per non indicare come partito due nomi per i posti di consigliere in Cda il Pd di Pier Luigi Bersani abbia invitato quattro associazioni della società civile a farlo. Ora, premesso che si tratterebbe anzitutto di definire cosa s'intende per società civile, resterebbe da spiegare come quattro associazioni - e non sei, otto, dieci, cento, mille - debbano esaurirne la tensione morale, civile, di competenza tv e anticastale. Queste quattro associazioni, «Libertà e giustizia», le donne di «Se non ora quando», il «Comitato per la libertà di informazione» e «Libera» in fondo, una volta indicate, incarnano già una scelta. I nomi circolati sui possibili candidati, poi, sono svariati: Lorella Zanardo, autrice del documentario «Il corpo delle donne», Tana De Zulueta, ex parlamentare dell'Ulivo, Gherardo Colombo, magistrato di Mani Pulite, Giovanni Valentini, giornalista, commentatore di Repubblica (considerato tra i più papabili), Benedetta Tobagi, giornalista e candidata di una lista civica vicina al Pd alle Provinciali a Milano, Sandra Bonsanti, giornalista, per molti anni a Repubblica. I cognomi sono tanti e l'elenco potrebbe continuare ma non si tratta qui di andare a rileggere le biografie di ognuno bensì di entrare nel merito di cosa, una volta scelti, proporranno. Cosa hanno in mente queste quattro associazioni per il futuro della tv pubblica? Che palinsesti vorrebbero, quale ruolo per le sinergie tra tv, tablet e telefonia nell'era che avanza (e si fa sempre più vicina) della I-tv? Un Paese consapevole del ruolo di prima industria culturale che ha la sua televisione pubblica, parte dando risposte a questi interrogativi. E non può certo essere un programma dire che il corpo delle donne deve essere riconsiderato nella sua narrazione televisiva. Uno spunto, certo, ma non un palinsesto salvifico. Per questo Pier Luigi Bersani ha commesso un errore: doveva, per fare la sua battaglia di trasparenza contro l'ingerenza dei partiti (compreso il suo), candidarsi lui stesso ad un posto di consigliere, portandosi appresso il peso politico, la dignità, la responsabilità che incarna la sua figura e facendosi garante di una tv non occupata ma trasparente. Potrà sembrare un paradosso ma la partita, senza deleghe ad una generica società civile - nome buono per il titolo di una rubrica su un settimanale - sarebbe stata molto più vera e nuova. E invece ci troviamo - mentre il Pdl si scervella sui nomi da indicare per il Consiglio senza partorire nessuna novità di rilievo rispetto al passato - con il buon Sergio Zavoli costretto a fare i conti con curricula arrivati dalla società civile ed autocandidature. Tra le autocandidature c'è pure quella di Carlo Rienzi, Codacons (i consumatori), quella di Daniela Brancati (ex direttore Tg3) e quella del filosofo Renato Parascandolo, sostenuta da Dario Fo e Stefano Rodotà. Perché la società civile è come una matrioska e quando la apri ne trovi dentro un'altra e poi un'altra e un'altra ancora. Fossimo un Paese per meriti il buon Zavoli, giovedì 21 giugno, giorno in cui si aprono i seggi per scegliere i 7 nuovi nomi del Cda, farebbe una proposta: le primarie per il Cda Rai aperte a tutti candidati che hanno presentato il curriculum. Così il cerchio sarebbe chiuso sul desiderio di un Cda scelto dalla società civile. La verità è che il buon Zavoli ha un compito gravoso: dopo aver raccontato da par suo, nel secolo scorso, la «Notte della Repubblica», dovrebbe evitare di assistere alla notte della tv pubblica. E parlare, con voce chiara, su ciò che pensa delle candidature al Cda. Sarebbe una picconata alla Francesco Cossiga, forse scorretta nelle forme, ma vitale nella sostanza. Perché la televisione, nel XXI secolo, i prodotti, i programmi, le sue maestranze ed il suo artigianato, sono un pezzo importante dell'economia e della cultura di un Paese e richiedono sapere specifico. Guidare un Cda di un'azienda televisiva ne richiede altrettanto. Ma purtroppo i partiti e la politica italiana sulla tv - società civile o no - sembrano pensarla come Orson Welles (senza esserlo): «Odio la televisione. La odio quanto odio le noccioline: però non posso fare a meno di mangiare noccioline». In fondo, il prossimo anno, ci saranno pure le elezioni. P.S. Piccola avvertenza: l'autore di questo articolo, che non ha tessere politiche e non è iscritto ad associazioni di società civile, ha presentato la sua autocandidatura inviando il proprio curriculum di giornalista ed autore tv alla Vigilanza Rai. Come diceva 007, mai dire mai.

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