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Leonardo Ventura La conferma del tonfo di Wall Street è arrivata poco dopo le 22: sull'onda dell'inatteso dato dell'aumento della disoccupazione negli Usa, ha chiuso col Dow Jones a quota -2,22%, a 12.118,57 punti, e il Nasdaq a quota - 2,82%, a 2

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Èl'emergenza lavoro a unire stavolta Europa e Usa. Il tasso di disoccupazione continua a salire e pesa sulle Borse del vecchio continente, sul prezzo del petrolio e sui cambi per l'euro. Negli Stati Uniti a maggio il tasso dei senza lavoro è salito inaspettatamente all'8.2% rispetto all'8.1% di aprile. Un dato che ha peggiorato l'andamento delle Borse europee e del prezzo del greggio. Eurostat ha registrato la perdita di 110.000 posti in aprile e di 1.797 milioni in un anno. Negli Usa, a dispetto delle previsioni, il numero dei posti di lavoro creati a maggio è stato inferiore rispetto al previsto (69.000 unità), riferisce il Dipartimento del lavoro a stelle e strisce. Il tasso di disoccupazione è tornato dunque a salire per la prima volta in un anno, col ritmo di creazione di posti di lavoro sceso da una media del primo trimestre di 226.000 unità al mese a una media di 73.000 unità ad aprile e maggio. La Casa Bianca spiega che «i problemi del mercato del lavoro non si possono risolvere dall'oggi al domani», sottolineando che «l'economia sta incontrando seri ostacoli, compresa la crisi dell'Eurozona e l'aumento dei prezzi del gas». Ancora più esplicito, contro il vecchio continente, il presidente Obama: «Non possiamo avere il controllo su quanto viene fatto in altre parti del mondo», ha tuonato. Fonti vicine al presidente parlano di un Barack a dir poco adirato contro le capitali dell'Eurozona, sempre più divise nonostante il drammatico momento. Divisioni che lui stesso ha potuto constatare nella recente teleconferenza col premier italiano Monti, col presidente francese Hollande e con la cancelliera Merkel. Non è un caso che il New York Times attacchi duramente i leader europei, accusandoli di essere «complici» della situazione che si è venuta a creare, ed esortandoli a «dire tutta la verità ai propri elettori» su come uscire dalla crisi, mettendo da parte ogni contrasto. La Casa Bianca trema, anche perché il prossimo 6 ottobre sono in calendario le elezioni con un Mitt Romney in gran rimonta nei sondaggi. E la situazione non può che rispecchiarsi nei mercati: il petrolio è andato subito in caduta libera a New York perdendo oltre 3 dollari al barile rispetto a giovedì, precipitando a 83.37 dollari. È una crisi che non dà scampo e sui terminali i listini delle Borse sono in profondo rosso, con Milano che testa i minimi dal 2009 per poi limare il ribasso. Sale la pressione sugli spread: il divario Btp-Bund sfiora quota 480 ed è record per i Bonos spagnoli ormai sopra la soglia chiave dei 500 punti. E mentre l'Europa ancora cerca una linea comune sul salvataggio delle banche iberiche e sull'arsenale anti-crisi e anti-contagio, balza ai massimi il rischio debito di Roma e Madrid misurato dai credit default swaps tanto da spingere sotto zero i tassi del biennale tedesco. L'euro crolla fin sotto quota 1.23 dollari per poi chiudere a 1.2366. Unica nota positiva, l'ok irlandese sul Fiscal Compact. Il referendum sulla ratifica del patto di stabilità finanziaria è infatti passato con il 60.3% dei voti a favore. Ma ai mercati serve ben altro come dimostra il fatto che per stemperare la tensione sono bastate le voci su una possibile futura ripresa degli acquisti della Bce sui governativi di Spagna e Italia. Pura speculazione, ma la sensazione è che ormai ci si aggrappi a tutto. Così il paradosso è che a cavarsela meglio sono la Borsa di Madrid (-0,41%) e Piazza Affari. Milano, dopo il tonfo ai minimi da marzo 2009 a 12.600 punti, riesce a limitare i danni e chiudere a -1,04%. La peggiore questa volta è Francoforte (-3,42%) che paga le vendite sul settore auto dopo le scoraggianti previsioni di Bmw. A seguire Parigi (-2,21%) che piomba ai minimi da 6 mesi sotto i 3.000 punti e Londra (-1,14%).

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