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Basta far volare le Frecce Tricolori con una scia nera

Le Frecce Tricolori sopra il Vittoriale per la Festa della Repubblica

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No, stavolta lo spettacolo della parata non può andare in scena. Ma se volessimo onorare comunque le forze armate e - al tempo stesso - le vittime del terremoto, un modo ci sarebbe: far volare quattro Frecce Tricolori nel cielo di Roma. Quattro: tre a disegnare i colori della bandiera e un quarto aereo, in coda, a rilasciare il fumo nero del lutto. Perché se ci appella alla forza dei simboli, questo è il senso del 2 giugno 2012. Non una "festa" della Repubblica, che non può essere immaginata neppure sotto il segno della più rigorosa "sobrietà" invocata da Napolitano, ma una prova di elaborazione del dolore, di reazione ad eventi nefasti come quelli delle ultime ore. Un Paese sotto attacco non si diletta a far sfilare i soldati, a meno di non voler ricorrere a una stralunata propaganda: manda invece quei ragazzi in prima linea, a combattere una battaglia che durerà mesi, e contro un nemico che si annida nelle viscere della terra, che si imbosca come uno stratega astuto, poi tira colpi di maglio che buttano giù le case e tormentano la popolazione civile, riducendola allo stremo. E se la gente che fino a ieri viveva del prospero e placido tran tran della Pianura Felix si trova sotto "bombardamento" improvviso e ripetuto si scopre indifesa, vuole avere la certezza di essere protetta e difesa da ogni uomo disponibile. Si dirà: questa è demagogia, retorica antimilitarista, fumo antipatriottico, una tribuna per i pacifisti a tutti i costi, per gli ultrà sabotatori di ogni collante di "italianità". Altri citeranno il già consistente dispiego di uomini e mezzi nelle zone colpite, l'Esercito, la Protezione Civile, la Croce Rossa, le polizie locali eccetera. Altri ancora obietteranno che i reparti scelti per la sfilata non possono fare la differenza, che si tratta di circa 2500 elementi, molti dei quali con specificità non utilizzabili contro il sisma. C'è poi chi già sottolinea che questa di sabato, a differenza della più sfarzosa parata del 2011 (ma c'era un Centocinquantesimo da celebrare), è una manifestazione "low cost". Anche qui, si fa per dire: il risparmio è di circa un milione e mezzo di euro sui 4,4 dell'edizione scorsa. In parte già spesi per la preparazione dell'evento: ma sarebbe ingiustificabile sfilare solo perché la Festa è già stata apparecchiata ai Fori impavesati. Ogni centesimo che venisse risparmiato dalla cancellazione della parata sarebbe comunque un segno tangibile di uno Stato che non affida la solidarietà solo alle catene volontarie dei cittadini, alle collette estemporanee degli italiani dalle tasche già svuotate dalla crisi. E sarebbe un segno di rinascita etica del Paese se i suoi rappresentanti, quelli che affollano per dovere istituzionale le tribune della sfilata, mettessero per primi mano ai portafogli e dessero l'esempio, devolvendo parte del proprio stipendio di ministri, di parlamentari, di politici in ordine sparso, e altrettanto facessero gli alti gradi militari. Ancora più illuminante se questa beneficenza privilegiata avesse luogo proprio ai Fori Imperiali, e sopratutto in caso di ripensamento sull'evento. Una raccolta di fondi del Palazzo davanti alla strada deserta, con un applauso ai soldati mandati al fronte emiliano. Ecco, se la volontà di Napolitano di confermare la parata deve essere rispettata (il Capo dello Stato è pur sempre garante e capo supremo delle Forze Armate), non va ignorato l'appello bipartisan delle forze politiche e dei social network per lo stop totale dello show del 2 giugno. Come accadde nel '76 (quando Forlani annullò la parata per spedire l'esercito nel Friuli devastato), i soldati preferirebbero sporcarsi le divise nel fango e nella polvere delle macerie, piuttosto che lustrarle per un'incongrua cerimonia davanti a fanfare stonate. O se proprio devono, poi si incamminino verso l'Emilia. Lì, a tempo debito, dovranno anche vigilare contro il rischio di tangenti per la ricostruzione. A Roma bastano quattro Frecce Tricolori.

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