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Italia più povera: salari bassi meno risparmio

Povertà in aumento

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È un'Italia con il comando «Indietro tutta» ben innestato quella che l'Istituto di Statistica ha descritto nel suo Rapporto annuale presentato ieri a Roma. Alla crisi internazionale si sono aggiunti gli effetti delle manovre di correzione dei conti pubblici. E il conto è sempre più salato: i Paese è più povero per i redditi rimasti al palo negli ultimi anni mentre per mantenere il tenore di vita molti hanno dato fondo ai risparmi accumulati. In più le difficoltà dell'economia hanno rafforzato le disuguaglianze generazionali e territoriali. Insomma il Paese ha preso coscienza lo scorso anno di essere «più vulnerabile di quanto pensava» spiega l'Istat. Una consapevolezza che ha avuto un merito, l'unico, di far mettere mano su «numerose questioni irrisolte». In ogni caso resta la percezione che il momento nero non passerà tanto facilmente e che il 2012 è destinato ad essere «ricordato come un anno molto difficile». La mancanza di crescita e dunque di ricchezza da dividere ha penalizzato le retribuzioni che tra il 1993 e il 2011, in termini reali, sono rimaste ferme. Non è andata meglio per le buste paga, salite solo di quattro decimi di punto l'anno. Senza l'adeguamento dei salari non stupisce come il reddito reale disponibile delle famiglie sia diminuito nel 2011 per il quarto anno consecutivo, tornando ai valori di dieci anni fa. Dal 2007 la perdita è di ben 1.300 euro a testa. Per mantenere gli standard e gli stili di vita gli italiani hanno attinto alle scorte di denaro. E contemporaneamente hanno messo meno da parte per il futuro. La propensione al risparmio delle famiglie consumatrici è scesa all'8,8% nell'ultimo anno, la percentuale più bassa dal 1990. Insomma fine della nomea di popolo di formiche, intento a mettere da parte, ma neppure di cicale. Le famiglie hanno dovuto intaccare i loro tesoretti soprattutto per fare fronte a spese obbligate e necessarie. Ora però le riserve si stanno esaurendo e gli italiani si ritrovano costretti a ridurre i consumi. La crescita è la grande assente dal menù italiani. Il Paese ha registrato via via record negativi. Negli ultimi dieci anni, tra il 2000 e il 2011, con una crescita media annua pari allo 0,4%, l'Italia risulta ultima tra i 27 stati membri dell'Ue. L'unica area che non conosce crisi è il sommerso, una piaga che vale fra 255 e 275 miliardi, cioè fra il 16,3% e il 17,5% del Pil. Il dato, al 2008, è inferiore a quanto registrato nel 2000 (quando il peso sul Pil era del 18%). Ma con la crisi l'area dell'economia sommersa si è «verosimilmente allargata». A pagare dazio sono in particolare i giovani. In molti restano a casa: sono 2,1 milioni i ragazzi che né studiano né lavorano, i cosiddetti Neet. D'altra parte per gli under 30 il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 20,2%. Ma anche quando hanno un impiego i giovani sono penalizzati, infatti oltre un terzo degli under 30 ha un lavoro a tempo determinato (contro un valore medio del 13,4%). Per chi entra con un contratto a termine o comunque atipico non sempre c'è un finale positivo. A 10 anni dal primo impiego il 29,3% è ancora in una situazione di precarietà, circa il 10% non è più occupato e una quota consistente ha sperimentato una mobilità «discendente». Di fronte a tali difficoltà, molti si arrendono: lo scoraggiamento e l'attesa di ricerca sono i principali motivi di rinuncia, segnalate da 1 milione e 800 mila inattivi. L'Italia offre poco a chi vuole migliore lo status sociale. C'è una «bassa fluidità sociale», con opportunità di miglioramento che rispetto ai padri «si sono ridotte», mentre «i rischi di peggiorare sono aumentati». Diventa difficile scalare classi sociali: solo l'8,5% di chi ha un padre operaio riesce ad accedere a professioni apicali. Il Sud resta il problema annoso. Sono forti le disuguaglianze che si continuano a registrare sul piano territoriale. I dati (riferiti al 2010) parlano chiaro: al Sud sono povere 23 famiglie su 100, al Nord 4,9. Sono le regioni meridionali quelle che offrono minori opportunità di lavoro, che scontano svantaggi nella dotazione di servizi sociali (dagli asili nido all'assistenza per gli anziani) sanitari e ambientali. Un'altra categoria penalizzata è quella delle donne. Nel 2012, a due anni dalla nascita del figlio quasi una madre su quattro in precedenza occupata non ha più un lavoro. E spesso quando c'è il part time non è una scelta volontaria. Intanto in Italia si riduce il numero delle coppie sposate che hanno figli, oggi sono appena il 33,7%. Raddoppiano invece le nuove forme familiari, come single non vedovi e libere unioni. In parallelo prosegue il calo dei matrimoni. E sono anche in aumento le separazioni: che toccano quasi tre matrimoni su dieci, una proporzione raddoppiata in 15 anni. La fotografia dell'Istat preoccupa i sindacati Per il numero uno della Cisl, Raffaele Bonanni, siamo tornati indietro «ai primi anni del dopoguerra». Mentre per il ministro per la Cooperazione e l'Integrazione Andrea Riccardi, i giovani hanno bisogno di «tanti investimenti, cerchiamo di farli a costo limitato o a costo zero. Questo purtroppo è il nostro limite».

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