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Scenario «talebano» per una bomba senza firma

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Unastrage che ricorda scenari talebani. O i campus americani dove però l'assassino di turno preferisce guardare negli occhi e sparare alle sue vittime. La bomba di Brindisi che ha straziato le carni di adolescenti in attesa di entrare a scuola, è senza ombra di dubbio un episodio che provoca paura. Terrore, per ora senza firma e senza una motivazione logica, così come ripetono in queste ore gli investigatori. Un episodio inquietante in un'epoca dove regna l'incertezza del futuro per la crisi economica globale e dove è facile sfruttare la rabbia e il dissenso sociale per seminare caos. Strategia non necessariamente figlia di un'ideologia. Anche la criminalità organizzata nuota meglio nel mare agitato quando gli apparati dello Stato sono impegnati a fronteggiare altre emergenze. Dopo le molotov e le aggressioni alle sedi di Equitalia, i pacchi esplosivi e le pistolettate contro l'Ad dell'Ansaldo Nucleare, la bomba di Brindisi sembra la naturale escalation che favorisce le teorie complottistiche e dietrologiche di cui l'Italia può vantare una ricca schiera di esperti da bar. Certo l'analisi di un simile episodio si presta a molteplici interpretazioni. La fattura dell'ordigno richiama scenari mediorientali. Attentati con le bombole di gas sono una delle armi preferite dai jihadisti in Iraq: di facile confezionamento e di sicuro effetto. Ma l'obiettivo scelto, la scuola superiore di Brindisi, resta un improbabile soft target. Un attentato contro i giovani occidentali per sfruttare la cassa di risonanza del G8: il premier Monti è con i grandi del mondo e tutti parlano dell'attentato. Ma resta misterioso e dubbio il movente. Debole anche la pista anarco-insurrezionalista. Nel Salento esiste un nucleo agguerrito, ma in questi anni molti sono finiti in galera. Di loro si è parlato anche come possibile collegamento con gli autori del ferimento di Roberto Adinolfi perché due anni fa fu trovata una pistola Tokarev in casa di un anarchico. Ma niente più. La scuola Morvillo-Falcone non rientra certo negli obiettivi di un gruppo anti-Stato che cerca di reclutare i giovani non certo di ucciderli. Qualcuno ha anche accennato a una pista «sentimentale». La vendetta di un ex. Vista l'età delle vittime sembra una reazione sproporzionata: l'esplosione, infatti, poteva provocare una strage. Ma la follia non conosce limiti. Resta la pista locale legata alla criminalità o a fatti connessi con il luogo dell'attentato. La vittima, Melissa Bassi, era di Mesagne un piccolo centro a 10 chilometri da Brindisi che vanta il non certo onorevole primato di aver dato i natali a Pino Rogoli il fondatore della quarta mafia, la Sacra Corona Unita. Mesagne, però, è al centro da oltre un anno da un susseguirsi di episodi violenti. Protagonisti i «nipotini dei boss» che scalciano a suon di bombe e intimidazioni. Non hanno esitato a far esplodere una bomba, nell'agosto 2011, in pieno centro alle due del pomeriggio. Per intimidire un imprenditore, lo scorso dicembre gli hanno spedito una lettera con due proiettili e un biglietto: «Buon Natale e un 2012 di sangue». Il mese di maggio si è aperto con una bomba che ha distrutto l'auto del presidente dell'Associazione anti racket Fabio Marini. La risposta dello Stato è stato immediata. Sedici persone sono finite in manette. Appena tre giorni fa sono finiti nella rete altre 35 persone coinvolte nel traffico di droga. La criminalità pugliese appare sempre più frammentata sempre più legata a organizzazioni internazionali. Colpiti dai provvedimenti della magistratura i clan «appaiono esposti a crescenti tensioni competitive per recuperare l'egemonia del territorio», scrivono gli 007 nella relazione annuale. Anche con le bombe.

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