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Partiti nella palude, Pd compreso

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Palazzo Chigi

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Mentre Giorgio Napolitano si sgola a richiamarli alla concretezza, tornando anche ieri ad auspicare «un sollecito svolgimento» del cammino parlamentare delle riforme, a cominciare dal «pacchetto limitato ma significativo» di modifiche alla Costituzione per finire con la legge elettorale, i partiti continuano a vagare nella palude delle parole. Vi vagano tutti, anche quelli che cercano di apparire i più sicuri e determinati. O addirittura i più favoriti tra le «macerie», come le ha sconsolatamente definite Pier Ferdinando Casini, certificate dai risultati del primo turno delle elezioni amministrative di questa capricciosa primavera. Si sentono naturalmente i più favoriti, a parte i grattacapi procurati anche a loro da Beppe Grillo, i sapientoni del Pd solo per essere riusciti a perdere meno del Pdl, e di riflesso a guadagnare un po' di bandierine municipali. Ma della buona salute e della credibilità del maggiore partito della sinistra ha mostrato di dubitare persino Eugenio Scalfari. Che è uno dei suoi più influenti elettori, se non il più influente, per quella veste di ideologo che ha finito per assumere nei suoi riguardi da quando il Pd- ex Ds, ex Pds, ex Pci, ma anche ex Margherita, ex Ppi ed ex sinistra democristiana, ha perso per strada tutti i vecchi riferimenti culturali ed è vissuto solo di lotta pregiudiziale all'avversario di turno: l'altro ieri Bettino Craxi, ieri Silvio Berlusconi, oggi il suo fantasma, visto che il Cavaliere continua ad essere ossessivamente temuto anche dopo il passo indietro, o di lato, compiuto prima con l'insediamento di Angelino Alfano alla segreteria del Pdl, poi con le proprie dimissioni da presidente del Consiglio e infine con la rinuncia, ripetutamente annunciata, a ricandidarsi a Palazzo Chigi. O a candidarsi l'anno prossimo al Quirinale, visto che qualche suo incauto sostenitore si era presa la briga di immaginarlo in corsa per la successione a Napolitano riuscendo solo con questo a provocare la solita mobilitazione preventiva, arricchita dei soliti ingredienti più o meno giudiziari. Nella sua omelia laica -scusate l'ossimoro- Scalfari ha suggerito domenica scorsa al Pd sulla sua Repubblica, quella di carta, di aiutarsi nelle prossime elezioni, specie se la legge elettorale dovesse rimanere invariata, come evidentemente anche lui comincia a credere, con l'apparentamento ad «una lista rappresentativa del principio di legalità». Che dovrebbe essere formata da «persone competenti e civilmente impegnate», capaci per questo di «dare un tono quanto mai riformatore al Pd» e di «accreditarlo come struttura portante di servizio della società civile». La formula, in verità, non è nuovissima. È un po' la rimasticatura degli «indipendenti di sinistra» inventati a suo tempo da Enrico Berlinguer per aiutare il suo Pci a crescere, e magari anche ad andare al governo. Vi tentò, in particolare, nel passaggio dal Ministero monocolore democristiano della «non sfiducia», realizzato nel 1976 da Giulio Andreotti grazie soprattutto all'astensione dei comunisti, ad un governo della fiducia vera e propria. Nel quale lo stesso Andreotti e l'allora segretario della Dc Benigno Zaccagnini erano stati tentati, tra la fine del 1977 e l'inizio del 1978, di fare entrare come tecnici due degli «indipendenti di sinistra» inventati politicamente da Berlinguer. A far saltare il progetto fu Aldo Moro. Che in un incontro riservato fece arrossire il segretario del Pci dicendogli di «non credere» che un partito così «importante e rappresentativo» come quello comunista potesse aspirare ad entrare nel governo «di soppiatto», con qualche pur apprezzabile «indipendente». Berlinguer capì immediatamente l'antifona e spense da solo il cerino, per cui il Pci passò dall'astensione al voto di fiducia negoziando un aggiornamento del programma, ma lasciando che il governo continuasse ad essere composto solo di democristiani. Fu l'ultima crisi gestita da Moro prima del sequestro e della sua tragica fine per mano delle brigate rosse. Per tornare ai giorni nostri, Scalfari deve avere in fondo poca considerazione del Pd e dei suoi dirigenti se ritiene necessario supportarli con questa strana lista di garanti esterni. Di cui però riconosce involontariamente i limiti all'improvviso, verso la fine della sua omelia, quando ipotizza che anche il Pdl possa ricorrere da una lista «civica» nazionale. Che sarebbe in realtà «una foglia di fico per nascondere un partito logoro e scaduto». Per Scalfari non vale evidentemente la regola matematica della moltiplicazione, il cui risultato non cambia se si scambiano i fattori.

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