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Gli errori di Nicolas

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Sarkozy e Hollande

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La speranza, già flebile e tremante, è svanita definitivamente poco dopo le 17. Dai primi exit poll diffusi in Belgio è stato subito chiaro che François Hollande sarebbe stato il settimo presidente della République. L'avventura di Nicolas Sarkozy è finita dopo cinque anni. La maggioranza degli elettori gli ha negato la fiducia scegliendo il «molle» socialista di Tulle, dipartimento di Corrèze, un uomo «normale» secondo se stesso. Ed ha sconfessato colui che della «rupture» aveva fatto la sua bandiera deludendo buona parte di quel mondo che gli aveva affidato la rinascita della Francia. I dati sono impietosi: disoccupazione al 10%, rapporto deficit-Pil al 5%, insicurezza sociale ed impoverimento a livelli mai registrati nella storia della Quinta Repubblica. L'introduzione di ben quarantuno nuove imposte ha reso incolmabile la diffidenza del ceto medio che lo votò con entusiasmo.  Tanto per non farsi mancare niente, Sarkozy si è legato in maniera strettissima alla Germania della Merkel assecondandone la «volontà di potenza finanziaria» sull'Europa tradendo così il lascito politico gollista. Sarkozy, insomma, ha fatto di tutto per perdere. Disattendendo promesse, rinnegando principi, riprendendo gli stessi a puri fini strumentali, portando la guerra nel Mediterraneo dopo aver «inventato» e fatto ratificare da tutti gli Stati interessati, nell'estate del 2007, l'Unione per il Mediterraneo come rilancio del Processo di Barcellona. Ha deluso in patria e fuori, ha rotto con i «simpatizzanti» conservatori di mezza Europa e con i partner nordafricani e mediorientali. Un disastro. Eppure, consapevole di quanto la sua caduta potesse essere rovinosa, si è lanciato in una campagna elettorale all'insegna della «France forte», incurante della sua debolezza evidenziata anche dal familismo, dal nepotismo, dall'affarismo e dalla spregiudicatezza nel servirsi dei soldi di coloro che sarebbero  diventati suoi nemici per la sua scalata politica. Nei giorni scorsi sono tornati alla ribalta i finanziamenti ottenuti da Gheddafi, mentre Dominique Strauss-Khan ha adombrato sospetti sul comportamento di ambienti vicini all'Eliseo nel determinare le sue disgrazie. Troppi i fronti aperti. Che tuttavia non gli hanno impedito, fino all'altro ieri, di sostenere che i francesi avrebbero vissuto la più grande sorpresa, cioè a dire la sua miracolosa rimonta. Si è sbagliato ancora una volta. Illudendosi, forse, che gli elettori del Fn lo avrebbero comunque votato e che i centristi di Bayrou non gli avrebbero voltato le spalle come il loro leader che si è esplicitamente dichiarato per Hollande. Al contrario, il "soccorso rosso" ha funzionato alla perfezione. I suffragi del fronte della sinistra, controllati da Jean-Luc Mélenchon, sono stati preziosissimi allo sfidante che grazie ad essi ieri sera ha spodestato colui che è stato accusato di non aver saputo incarnare la sua funzione. Diceva De Gaulle che il «presidente-monarca» deve avere l'hauteur, il pathos della distanza, la dignità del ruolo. I francesi questo vogliono vedere nell'inquilino dell'Eliseo e non tollerano che sia dominato da un'avidità di potere che lo portato a privilegiare i suo fini personali, come Sarkozy ha  fatto facendo nominare il figlio poco più che ventenne a presidente della Defense, il più ricco complesso finanziario ed affaristico francese, piuttosto che impegnarsi nel risanamento delle banlieu dove non ha mai messo piede o nel contrasto alla povertà che sta dilagando dove più intensa è il conflitto tra disperati autoctoni ed immigrati. La Francia, insomma, non è più sana di quanto lo fosse cinque anni fa. È per questo che ieri ha scelto il male minore. O, almeno, così hanno creduto coloro che hanno votato Hollande. In rue de la Convention, quartier generale sarkozysta, sono immediatamente cominciate le grandi manovre per tentare di salvare il salvabile. L'Ump è a rischio di implosione. I fedelissimi dell'ex-presidente difendono la sua azione di governo ed anche la campagna elettorale spostata radicalmente su temi lepenisti. Gli avversari, a cominciare dal segretario Copé e, con qualche distinzione, il premier Fillon, gli rimproverano di aver abbandonato i moderati. Il partito, come s'era capito nei mesi  scorsi, senza bussola, privo di un'identità unanimemente condivisa. La spaccatura potrebbe avere conseguenze devastanti: i vecchi gollisti reclamano un ritorno ai valori ed ai principi ispiratori del movimento; i più giovani immaginano un'intesa con Marine Le Pen in vista delle legislative del 17 giugno, contrastata però dai maggiorenti del partito. Come andrà a finire? E, soprattutto, che cosa farà Sarkozy? Di certo non guiderà l'Ump alle elezioni per il rinnovo dell'Assemblea nazionale e, dunque, non si candiderà, aprendo scenari impensabili in tutta la destra, compresa quella del Fn. Sarà francese tra i francesi, come ha detto ieri sera. Hollande, invece, ha il gravoso compito di ricucire una Francia profondamente divisa. E soprattutto dovrà passare dalle parole ai fatti ricominciando a tessere una nuova tela con tutti i governanti dell'Unione a cominciare dalla Merkel che ieri ha subito uno smacco elettorale non da poco nello Schleswig-Holstein, anticipo di ciò che potrebbe accadere in tutta la Germania  tra un anno.

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