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Lo spadone e il bisturi di Amato

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Giuliano Amato

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Non ci vorrà molto a capire gli effetti pratici, e non solo mediatici, già notevoli, di quello che Mario Sechi ha definito il colpo di "spadone" sferrato all'improvviso da Monti ricorrendo ad altri tecnici, o simil-tecnici, come vedremo, per rivitalizzare il suo governo. Della cui "missione" anche lui, che pure lo guida, ha probabilmente temuto che si stesse perdendo - altra indovinata immagine di Sechi - "la natura". Commissariare per un po' la politica, con l'incoraggiamento del capo dello Stato e con la fiducia più o meno recalcitrante dei maggiori partiti rappresentati in Parlamento, per una operazione di risanamento tanto scomoda quanto urgente, o lasciarsene lentamente commissariare a sua volta con rinunce, rinvii, compromessi al ribasso e altre diavolerie di cui sono state disinvoltamente capaci nei diciotto anni della cosiddetta seconda Repubblica entrambe le coalizioni alternatesi al potere? Essere o non essere veramente un governo tecnico, di svolta? O, se non si gradisce un interrogativo forse così sproporzionatamente shakespeariano, e si preferiscono le dimensioni battutistiche recentemente riproposte dallo stesso Monti rievocandone una famosa di Andreotti, accettare di tirare a campare, piuttosto che tirare le cuoia? O, variante del dilemma andreottiano forse non sgradito allo stesso Andreotti quando mostrava troppa inclinazione al compromesso e veniva per questo criticato nel suo partito da De Mita, guadagnare un po' di tempo per far tirare le cuoia agli altri, smaniosi di staccargli la spina? A queste ed altre domande del genere temo che abbia pensato il presidente del Consiglio, magari nel recente viaggio di ritorno dall'Asia, dopo avere lanciato i primi segnali di insofferenza verso i partiti della sua "strana" maggioranza, prima di sferrare, ripeto, il colpo di "spadone" alla vigilia della festa del lavoro. Che egli ha onorato a suo modo, procurandosene dell'altro e procurandone ai suoi ministri, commissari, sub-commissari, tecnici e, come dicevo, simil-tecnici, come merita di essere considerato, per esempio, Amato. Che è indubbiamente un eccellente professore di diritto costituzionale, un fine giurista, un economista per niente improvvisato, ma anche, e forse ancora di più, un politico di estrema raffinatezza e di intelligenza tanto "sottile" da averne meritato il soprannome. Che gli fu conferito a suo tempo da uno Scalfari insolitamente diviso tra la critica e l'ammirazione. Ad Enrico Bondi, si sa, è stato chiesto da Monti di tirare giù in poche settimane, con la competenza e i gradi guadagnatisi in un bel po' di aziende raccolte in condizioni comatose, una bella e concreta lista di tagli alla spesa, con cui mettere alla prova la pubblica e renitente amministrazione. Al collega bocconiano Francesco Giavazzi, pur con le amarezze procurategli con certe critiche alla sua azione di governo, o forse proprio per queste, e anche a costo di fare una brutta sorpresa al "super-ministro" del settore, Passera, il presidente del Consiglio ha chiesto di preparargli il disboscamento, finalmente, degli incentivi che troppo spesso hanno aiutato le imprese non a crescere ma a vivacchiare, a tirare andreottianamente a campare - anche loro - piuttosto che tirare demitianamente le cuoia. Ma è ad Amato che il buon Monti, anzi il "perfido" Monti, come lo chiamava ieri nei deserti corridoi della Camera un deputato dell'Udc che chiedeva, anzi supplicava di rimanere anonimo per il timore di vedere scambiare per critico un giudizio ch'egli invece considera di apprezzamento politico, ha affidato la incandescente materia dei partiti e dei sindacati, della loro disciplina giuridica da troppo tempo attesa, e del loro finanziamento. Scusate se è poco. E di questi tempi, in cui gli starnuti e gli insulti di un comico rischiano di mettere definitivamente al tappeto vecchie e nuove formazioni politiche. Amato ha esordito nel suo nuovo incarico pregando i giornalisti di non immaginarlo "con i forbicioni in mano". E sperando di non continuare ad essere ricordato solo come il presidente del Consiglio che nel 1992, con l'aiuto dell'allora ministro democristiano del Tesoro Barucci, per fronteggiare una grave crisi economica e finanziaria dispose un prelievo forzoso dai conti bancari degli italiani. Molti dei quali, peraltro, avrebbero forse preferito oggi una misura analoga alle tasse sulla casa e ad altre, imposte da una situazione che sotto molti aspetti è ancora più grave di quella di vent'anni fa. Ma non è di certo ai "forbicioni" che Monti ha pensato quando ha deciso di rivolgersi all'ex presidente del Consiglio per farsi aiutare a formare quello che lo stesso Amato ha definito "l'orientamento" cui il governo ha "diritto" in materia di finanziamento e di disciplina dei partiti, pur se costoro vogliono continuare a decidere loro cosa e come fare, coprendosi ipocritamente dietro il sipario della "sovranità" del Parlamento. Dove a votare, notoriamente, sono i deputati e i senatori, ora nominati dai vertici degli stessi partiti con tanto di liste bloccate, e non i ministri tecnici. Lo strumento che Monti ha immaginato giustamente nelle mani di Amato, in questa fatica, è piuttosto il bisturi. Che l'ex presidente del Consiglio, oggi non più deputato né senatore, sa usare bene, da "sottile" com'è. Ma soprattutto da conoscitore profondo dei partiti, per averne fatto parte, anche se mostra spesso di esserne stato e di esserne più estraneo che intimo, specie per le ultime esperienze vissute nel Pd. Dove sono in troppi a considerarlo con diffidenza più un ex socialista, per giunta ex braccio destro dell'odiato Craxi, che un riformista più genuino e convinto di loro, con cui vivere l'esperienza di ex o post-comunisti. Non a caso nell'autunno scorso, con l'aria di opporsi alla nomina di Gianni Letta per conto del Pdl come vice presidente del Consiglio, il Pd rinunciò alla possibilità di essere rappresentato da Amato, come avrebbero invece voluto giustamente sia Napolitano che Monti.

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