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Presidente Cicchitto, non le sembra che Monti e il suo governo abbiano perso smalto rispetto ai primi mesi? «È inevitabile.

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Siai tecnici sia i politici devono affrontare le stesse enormi difficoltà. Non esistono soluzioni semplici». Il governo ha sottovalutato la situazione? Sul mercato del lavoro stava saltando il banco... «Bè, intanto la riforma del lavoro è un tema su cui ci si misura nel profondo con le forze sociali. Poi l'esecutivo non ha avuto il colpo di bacchetta magica che invece pensava di avere, cioè l'uso del decreto in funzione di due colpi molto forti: uno ai lavoratori dipendenti con la libertà di licenziamento per ragioni economiche e l'altro alle imprese con il ridimensionamento secco delle varie forme di lavoro a tempo determinato. La reazione sia dei sindacati sostenuti dal Pd sia delle imprese ha creato una situazione difficile. Soprattutto sulla questione dell'articolo 18 si sono saldate le resistenze di Pd e Cgil. Sappiamo come è andata, con una bella ritirata. Un motivo in più affinché, in questo momento, il governo non pensi di penalizzare il Pdl». È caduta l'immagine di Monti come l'uomo della Provvidenza. Il ministro Passera ha ammesso: «Non ho la bacchetta magica». È il risveglio dei tecnici? «Ho l'impressione che il clima iniziale, quando lo spread calava e s'imponevano alle forze politiche la tassazione sulla casa e la riforma delle pensioni, sia finito. A un certo punto è riemerso il duro confronto con i partiti e con le forze sociali: è la normalità della democrazia. Altrimenti saremmo di fronte alla riesumazione della figura del "dictator" dei latini». Scusi, onorevole Cicchitto, ma il Pdl non ha ingoiato troppi rospi? L'Imu, l'articolo 18, la riforma del lavoro, il beauty contest, non vi sentite penalizzati? «Sì, tant'è che il 70% del nostro elettorato è scontento. L'abbiamo fatto per senso di responsabilità ma facciamo presente a Monti che c'è un limite invalicabile al rigore. Superato quel limite infatti rischiamo di arrivare al rigor mortis. La società italiana è in una condizione di sofferenza». Crede che Monti abbia sbagliato sulla crescita? «Di rigore ce n'è stato tanto, ora il rischio di una società disperata è concreto. Bisogna creare le condizioni per diminuire la pressione fiscale». Le imprese sono in bilico. «Non ricevono i soldi che dovrebbero avere dallo Stato e hanno il credito bloccato. Così la società italiana viene strangolata. Spero che Monti di fronte a tutte queste difficoltà non si metta a cavalcare l'antipolitica». Ai tempi di Berlusconi si sarebbe detto: «Serve una scossa». Da dove può venire? «Da vari interventi, come l'alienazione dei beni immobili dello Stato e da misure di finanza straordinaria per abbattere il debito e di qui ridurre la pressione fiscale. Poi c'è il problema dell'Europa. Monti non può pensare di essere una sorta di commissario dell'Ue inviato in Italia: alla fine quella linea rischia di farci sbattere. Siamo alla vigilia di forti cambiamenti: la politica di Sarkozy di subalternità alla Germania è in crisi. Non è un caso che lui stesso abbia fatto un passo indietro anche sulla Bce. Dalle elezioni francesi possono arrivare delle novità rilevanti. Se cambia linea la Francia, in Europa si riapre la partita». C'è il rischio che ora sia Monti troppo «tedesco»? «Il rigorismo assoluto rischia di non portarci da nessuna parte. Bisogna correggere la rotta. Mi auguro che Monti interpreti una nuova fase». L'ultimo attrito col governo è sul beauty contest, l'assegnazione delle frequenze tv... «Premesso che non stiamo drammatizzando la questione, pensavo che il ministro Passera fosse più capace di mediare tra noi e il Pd. Non è stato così». Non è che il Pdl si è pentito del passo indietro di Berlusconi? «Nessun pentimento. In quel momento la pressione internazionale e mediatica era troppo forte, era necessario chiarire che il problema dell'Italia non era Berlusconi». Pensa che lo riconosceranno quelli che all'epoca gridavano il contrario? «L'antiberlusconismo c'è sempre ma molti hanno capito che il vero nodo della crisi sta nella globalizzazione e nell'Europa e, per quello che riguarda l'Italia, in questo maledetto debito pubblico».

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