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Sui rimborsi la ridotta dei partiti

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Il premier Mario Monti

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Se a qualcuno, a cominciare dal presidente del Consiglio, di fronte allo scandalo dei «rimborsi» elettorali tanto abbondanti da essere letteralmente dilapidati dai partiti, fosse venuta la tentazione non dico di abolirli, come pure sarebbe giusto, ma almeno di ridurne la consistenza, i segretari delle tre forze politiche della maggioranza gliel'hanno fatta passare ieri con un giro di telefonate fra di loro. In cui hanno concordato di far mettere a punto dai loro esperti entro domani alcune «norme urgenti per il controllo e la trasparenza» dei fondi pubblici destinati ai movimenti politici. Ripeto: «controllo e trasparenza», non quindi riduzione, e tanto meno abrogazione. Per la quale chi vorrà potrà certamente seguire la strada del solito referendum, ma sapendo bene due cose. La prima è che questa prova non si potrà svolgere prima del 2014 perché fra un anno ci saranno le elezioni politiche, con la cui stagione quella obbligatoriamente primaverile dei referendum è incompatibile per legge. La seconda cosa da non dimenticare è che i referendum in Italia si possono vincere nelle urne ma perdere poi, entro pochi mesi, nelle aule parlamentari. Dove i partiti hanno la possibilità, pur scandalosa, di rovesciarne il risultato. Lo fecero nel 1988 ripristinando la sostanziale irresponsabilità civile dei magistrati abolita l'anno prima da un referendum promosso dai radicali e sostenuto dai socialisti, che si sentirono poi colpiti da una lunghissima serie di ritorsioni giudiziarie, per quanto si fossero prestati con l'allora guardasigilli Giuliano Vassalli a restituire alle toghe le loro tutele. Lo ripetettero nel 1994 ripristinando proprio il finanziamento pubblico dei partiti abrogato l'anno prima con un referendum, anch'esso promosso dai radicali. Non parliamo poi dei Ministeri dell'Agricoltura e del Turismo, riaperti con altro nome dopo la loro chiusura referendaria. Va detto con onestà che l'avvertimento al governo e a chiunque altro a non farsi prendere dalla tentazione di ridurre i soldi ai partiti, visto che in questo momento se ne tolgono a tutti i contribuenti onesti con autentici salassi fiscali, si era levato già l'altro ieri dal segretario del Pd con una intervista al Corriere della Sera. In cui Pier Luigi Bersani aveva sostenuto che, contrariamente alla sensazione procurata ai cittadini dagli sperperi, per esempio, dei tesorieri della ex Margherita e della Lega, prima che venissero scoperti e cacciati, «c'è già stata una drastica riduzione del finanziamento» dal 2010 in poi. Ma si sperava che Angelino Alfano e Pier Ferdinando Casini non fossero del tutto d'accordo. Invece ieri al telefono lo sono stati, evidentemente. Ed hanno forse convenuto anche con l'ultimo tesoriere dei Ds, e tesoriere in carica degli ex Ds, Ugo Sposetti. Il quale, chiuso come in una ridotta, aveva nei giorni scorsi assicurato di non vedere «nessuno, nemmeno tra i tecnici» in grado di occuparsi dei partiti, e del loro finanziamento, «all'altezza» di coloro che ne discussero all'Assemblea Costituente. E che furono La Pira, Moro, Nenni, Mortati e Togliatti. Ai quali infatti non venne mai lontanamente il sospetto che i partiti potessero avere poi la sfrontatezza di finanziarsi come adesso. Se l'avessero avuto, ne sarebbero morti d'infarto. Anche sul «percorso più facile e rapido» che l'ABC della maggioranza si è riservato al telefono di individuare per riformare la cosiddetta disciplina dei rimborsi elettorali è meglio non farsi illusioni. Scartata la soluzione del decreto legge per paura delle forbici del governo, che pure ha appena azionato disinvoltamente un piano di salvataggio delle costosissime province, Luciano Violante ha lanciato a Pasqua la proposta di imbarcare le nuove norme sui soldi ai partiti nella quasi omonima riforma elettorale. Di cui si sono sinora sprecati gli annunci, ma soltanto questi.  

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